Si parla troppo spesso a sproposito dei Rom, che il governo attuale vorrebbe sottoporre ad un ‘censimento’.
In realtà, non si tratta di una iniziativa ‘nuova’ nei confronti di questa etnia, quando si pensi che nel 2012, la Regione Lombardia varò un provvedimento analogo; un monitoraggio – fu detto allora – il cui scopo sarebbe stato la salvaguardia dei diritti dei bambini e che tuttavia non ebbe poi alcun risultato pratico.
I Rom costituiscono una etnia le cui origini sono rimaste per secoli avvolte da un alone di mistero.
Il luogo di provenienza sarebbe stato individuato nel Rajasthan, Nord-est dell’India, e i primi gruppi sarebbero stati costretti ad abbandonare quella terra tra il I ed il IX secolo, in seguito a guerre e carestie.
Nella loro lingua, ‘Rom’ significa ‘uomo‘ ed è così che loro vorrebbero essere chiamati.
Gli altri, chi non è Rom, vengono chiamati gagè (al singolare, gagio) e vengono generalmente ritenuti creduloni, superstiziosi, ‘attaccati alle cose’, talvolta violenti.
In Italia, di contro, i gagé chiamano i Rom con il termine dispregiativo di ‘zingari’, ritenendoli dediti al nomadismo, ladri, trasandati e senza cultura, questuanti e residenti in baracche fatiscenti o in roulottes all’interno di campi-nomadi.
Contro i Rom, politici e cittadini spesso promuovono manifestazioni testimonianti una radicata intolleranza di base.
In realtà, le due culture non si conoscono e non si vedono segni di una possibile integrazione.
Ne risulta una convivenza difficile; cosa che non accade dappertutto, in Europa.
Nell’Est europeo, i Rom conducono un’esistenza diversa, abitano in case tradizionali, svolgono lavori abitudinari o studiano e la convivenza con i gagè è tranquilla.
Leonardo Piasere, antropologo dell’Università di Firenze, nel suo libro ‘I Rom d’Europa’ fornisce esaurienti spiegazioni in proposito.
L’antica popolazione da cui discendono i 7 milioni di Rom d’ Europa – afferma Piasere – parlava una forma volgare di sanscrito, il praclito.
Attorno all’anno 1000, abbandonata la regione del delta dell’Indo, spinta da guerre e carestie, la corrente migratoria si diresse in massa verso l’Europa, portando con sè artigiani esperti nella lavorazione dei metalli, chiamati ‘athinganoi’, da cui deriva forse, per assonanza, il termine ‘zingari’.
Nei 400 anni che seguirono, i Rom si insediarono in molti Paesi ad ovest dei Balcani, ma non mantennero ovunque gli stessi comportamenti, cambiando stile di vita e uniformandosi ai popoli con cui entravano in contatto.
La loro distribuzione si divise così in tre grandi aree geografiche.
La prima fu l’Area Balcanica, in cui, soprattutto durante l’Impero Ottomano, svolsero attività artigianali, inserendosi nel tessuto socio-economico di quel mondo, pagando le tasse e risiedendo in dimore fisse.
La seconda area fu l’Area Rumena (Valacchia e Moldavia; l’odierna Romania), in cui, al contrario, furono tenuti schiavi per secoli, al servizio dei principi di cui erano esclusiva proprietà e a cui dovevano i tributi, qualora avessero ottenuto da questi il permesso di esercitare i mestieri di giocolieri, calderai o ramai. Questi Rom venivano venduti spesso ai monasteri, che li impegnarono nei campi come contadini, fino al XIX secolo quando, a seguito delle rivoluzioni liberali, cessò la loro schiavitù.
Attualmente, in queste due aree vive il 90 per cento dei Rom europei: divenuti sedentari, vivono in abitazioni fisse, praticano diversi mestieri o coltivano la terra ma, soprattutto, non delinquono.
La terza area è l’Europa occidentale, dove invece la conflittualità con i nativi è un fenomeno diffuso.
Le notizie più antiche relative alla presenza dei Rom in questa terza area risalgono ad un periodo storico ben definito, gli anni tra il 1417 e il 1430, quando, dall’Italia all’Olanda, comparvero compagnie di ‘pellegrini’ che si dicevano ‘egiziani’ di fede cristiana.
Esibivano lettere firmate da Sigismondo, imperatore del Sacro Romano Impero, o dal Papa, in cui si attestava la loro condanna ad un pellegrinaggio di 7 anni per un peccato di apostasia.
Il fatto è che, trascorso quel periodo, i sedicenti ‘pellegrini’, cui nel frattempo varie città avevano elargito assistenza e cospicue donazioni, non tornarono indietro, ma rimasero in Europa, praticando vari mestieri, vivendo di espedienti e di accattonaggio.
Nei loro confronti vennero allora emessi bandi di espulsione e si arrivò a vere e proprie persecuzioni.
“In questa parte d’ Europa, in cui i popoli lottavano per una propria identità, i Rom si mossero con cautela”, afferma Piasere. Come corpo estraneo, cercavano di passare inosservati, spostandosi sul territorio senza controllo. Non fecero guerre, frammentandosi in numerosi gruppi, spesso familiari, mentre aggiungevano alla loro lingua termini dei vari Paesi che attraversavano. Il nomadismo divenne per loro una necessità contro la repressione.
“Poi ci furono le persecuzioni di Hitler, con 500 mila Rom eliminati nei campi di concentramento”, racconta Ernesto Rossi, presidente dell’associazione culturale Aven Amentza.
Gli ebrei subirono la shoàh (distruzione); i Rom il porrjmos (divoramento). Mentre, però, la persecuzione dei primi viene ricordata, il passaggio dei Rom è rimasto ignorato; probabilmente perchè i Rom non sarebbero un popolo, un’unità culturale, ma una condizione.
“Se gli ebrei hanno la Bibbia come simbolo di unità culturale, i Rom hanno la musica, cui hanno attinto compositori come Brahms, Schubert, Ravel, Strawinsky e Ciaikowski”, afferma Santino Spinelli, rom abruzzese, due lauree e docente all’Università di Trieste. “Nella musica c’è l’etica, la lingua, la filosofia di vita e la nostra memoria”.
Nei confronti dei Rom sussiste tuttavia una quantità di pregiudizi. La sporcizia non si accorda certo con le condizioni dei campi, dove non c’è acqua per tutti. I Rom hanno paura dell’impurità, come gli indiani e gli ebrei, e le loro donne evitano il contatto con i gagè, ritenuti impuri.
La loro è una società maschilista, ma l’uomo infedele è severamente censurato. La chiaroveggenza e la predizione del futuro sono artifici per sopravvivere, così come lo è la questua, frutto di una vendita ‘porta a porta’ ante litteram, quando un tempo veniva usata nelle campagne, con attrezzi per la casa o per i campi. I Rom che lavoravano nei circhi o come giostrai, infine, hanno risentito la crisi di questo settore e non hanno gli aiuti che spettano ai gagè.