Gli acquedotti sono esempi molto suggestivi dell’arte della costruzione esercitata nell’Impero Romano.
Ancora oggi, con la loro imponente presenza, sono fonte di informazioni non solo sugli aspetti estetici, ma anche pratici e tecnici della loro costruzione.
Gli scienziati dell’ Università Johannes Gutenberg di Mainz (JGU) hanno studiato l’acquedotto più lungo dell’epoca – conosciuto anche come ‘Acquedotto di Valente’ (dal nome dell’imperatore sotto cui fu terminato nel 368 d.C) – che con i suoi 426 chilometri di lunghezza, riforniva d’acqua potabile la città di Costantinopoli.
Sono state quindi scoperte nuove peculiarità di questa struttura e come abbia potuto mantenersi integra nel tempo.
Una importante constatazione riguarda i canali che probabilmente furono ripuliti dai depositi di carbonato di calcio solo fino a pochi decenni prima che il sito venisse abbandonato.
E’ noto che l’Impero Romano abbia precorso i tempi su svariate tematiche, mettendo un forte impegno nel costruire per i suoi cittadini infrastrutture che ancor oggi non finiscono di stupire.
E questo fascino include templi, teatri e anfiteatri, opere meravigliose dal punto di vista architettonico, ma anche una fitta rete stradale, ampi porti e miniere.
“Tuttavia, il risultato tecnico più rivoluzionario dell’Impero Romano risiede nella gestione dell’acqua, in particolare per quel che riguarda gli acquedotti a lunga distanza, che portavano acqua alle città e ai bagni pubblici”, sostiene Gul Surmelihndi, geoarcheologo dell’Università di Mainz. “Premettendo che gli acquedotti non furono un’invenzione romana, fu però per merito di quella civiltà il raggiungimento del notevole sviluppo che ne conosciamo”.
Quasi tutte le città dell’Impero, infatti, ebbero un’ampia disponibilità di acqua fresca corrente e in alcuni casi il volume era addirittura maggiore di quello a disposizione oggigiorno.
“Gli acquedotti romani sono famosi soprattutto per i loro superbi ponti, come il Pont du Gard in Francia, ancora in piedi dopo due millenni” dice il prof. Cees Passchier della JGU. “E destano ancora meraviglia per come vennero affrontati e risolti i problemi delle costruzioni, forse scoraggianti anche per gli ingegneri moderni”.
Ad oggi, si conoscono duemila acquedotti romani di lunga distanza.
Lo studio di Surmelihndi e del suo team si è concentrato sul più spettacolare e più lungo acquedotto tardo-romano, che riforniva d’acqua Costantinopoli, ora Istanbul, nell’attuale Turchia.
Dopo esser divenuta la capitale dell’Impero nel 324 d.C., Costantinopoli si trovò ad affrontare il grosso problema dell’approvvigionamento idrico adatto ai suoi abitanti. Nei secoli successivi venne così realizzata una serie di acquedotti che, una volta congiunti, facevano affluire alla città acqua potabile da sorgenti poste a 60 chilometri verso ovest.
Fu così realizzato l’acquedotto più lungo del mondo antico, ben 426 chilometri.
Costituito da canali in muratura a volta, costruiti in pietra e cemento, vantava ben 90 grandi ponti e gallerie lunghe fino a 5 chilometri.
Il team di Surmelihndi ha studiato i depositi di carbonato (o calcare) di questo acquedotto, assumendo importanti informazioni sulla gestione di quest’opera nel tempo, con la scoperta che i depositi si erano formati in 27 anni.
Dal momento che l’acquedotto aveva funzionato per 700 anni, è stato quindi dedotto che periodicamente si fosse provveduto a ripulirlo dal calcare per far sì che continuasse ad assolvere il compito per cui era stato eretto senza che il flusso d’acqua subisse arresti.
Sebbene l’acquedotto sia di origine tardo-romana, è risultato che il carbonato del canale risale al Medioevo bizantino.
Questo ha fatto riflettere sulle possibili strategie di pulizia e manutenzione, perchè per pulire e mantenere in buono stato un canale di 426 chilometri è necessario che si interrompa il flusso dell’acqua e non si possa utilizzarlo per settimane o mesi, lasciando la città all’asciutto, in attesa che l’acqua torni a scorrere.
I ricercatori hanno però osservato che 50 chilometri della parte centrale del sistema idrico erano stati costruiti con due canali – un canale sopra l’altro – in modo che, quando necessitava la pulizia di un canale, l’acqua potesse esser fatta passare comunque dall’altro canale, senza ricorrere ad interruzioni.