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Come gli ultimi 12mila anni hanno plasmato l’umanità

Scritto da Leonardo Debbia il 06.02.2023

Secondo il dott. Clark Spencer Larsen, antropologo dell’Ohio State University, il mondo moderno è iniziato con l’avvento dell’agricoltura.

“Il passaggio dal foraggiamento all’agricoltura ha cambiato tutto”, afferma lo studioso.

“Assieme ai semi delle colture alimentari, gli esseri umani hanno piantato i semi di tutti i problemi connessi all’esistenza della ‘civiltà‘ moderna.

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“E’ vero che i cambiamenti indotti dall’agricoltura sono stati vantaggiosi per l’uomo, ma insieme ai vantaggi, tra gli individui sono emersi e via via aumentati, conflittualità, violenza, malattie infettive e competitività per le risorse, mentre si è ridotta drasticamente l’attività fisica e sono comparse le limitazioni sulla dieta”.

Sull’argomento, Larsen ha pubblicato un servizio speciale nel numero di gennaio scorso della rivista Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS), titolandolo ‘Gli ultimi 12000 anni di comportamento, adattamento, popolazione ed evoluzione hanno plasmato chi siamo oggi’.

Il servizio include otto articoli basati per la maggior parte sull’archeobiologia, specificando che cosa si può trarre dallo studio dei resti umani sui cambiamenti nella dieta, nel comportamento e nello stile di vita degli ultimi 10 millenni dell’umanità.

L’inizio degli effetti negativi è da ricondurre, per Larsen, alle origini dell’agricoltura.

“I cambiamenti avvenuti per l’umanità sono imputabili esclusivamente a questo evento”, afferma, categorico, lo studioso.

Iniziando a coltivare il terreno, gli esseri umani passarono da una vita nomade, errabonda, dinamica, ad una serie di insediamenti stanziali che li condussero presto ad una comoda ma insidiosa sedentarietà.

Le implicazioni interessarono ogni aspetto della vita quotidiana.

La coltivazione dei campi favorì la conoscenza tra gruppi umani, con l’insorgere di nuovi rapporti e alleanze tra famiglie, consentendo così all’umanità di crescere dai circa 10mila individui che popolavano il tardo Pleistocene agli oltre 8 miliardi attuali.

Naturalmente, questo passaggio ha avuto un prezzo.

La dieta varia dei raccoglitori venne sostituita da una alimentazione molto più limitata di piante e animali addomesticati; animali che spesso avevano anche una capacità nutrizionale ridotta.

“Oggi, gran parte della popolazione ha tre alimenti-base: riso, grano e mais, specialmente in zone dove le fonti animali di proteine sono fortemente limitate”, dice Larsen.

Altro importante cambiamento nella dieta umana è stata l’assunzione aggiunta di prodotti lattiero-caseari. Ne sono una valida testimonianza le prove che il consumo di latte risale soltanto a 5000 anni fa, nel nord Europa.

“L’adattamento così recente all’assunzione di latte e formaggi portò a varianti genetiche, mostrando che l’ambiente influì biologicamente sul nuovo stile di vita”, continua Larsen.

Le analisi del suo team di ricercatori sugli isotopi di stronzio e ossigeno nello smalto dei denti delle prime comunità agricole di oltre 7000 anni di età ha consentito poi di determinare da dove provenissero i neo-residenti, mostrando, ad esempio, che Catalhoyuk, nell’attuale Turchia, era l’unica comunità tra quelle esaminate in cui vivevano persone non indigene ma lì confluite da numerosi altri luoghi.

“Questo primo accentramento mostra che si stavano formando le basi per un’organizzazione delle successive società dell’Asia occidentale”, spiega Larsen.

Ovviamente, la mescolanza di più gruppi talvolta tanto diversi in aree ristrette, portò anche all’insorgere di conflittualità; e di questo ne abbiamo ampie dimostrazioni nei numerosi scheletri scoperti nel centro e nell’est Europa, vittime di lesioni traumatiche.

“Questa scoperta rivela che nel bel mezzo dell’Europa neolitica la violenza era in crescita, attraverso i secoli, sviluppando modelli di scontri che sfociavano in un numero sempre più cospicuo di morti”, aggiunge Larsen.

La ricerca svela anche che in queste prime comunità umane andava diffondendosi un nuovo pericolo: le malattie infettive che, con l’allevamento degli animali da fattoria – in pratica conviventi con gli esseri umani – causarono l’insorgenza di malattie zoonotiche, quelle trasmesse dagli animali all’uomo.

I cambiamenti climatici dell’epoca furono poi frequenti, violenti, lunghi e spesso siccitosi, ma il cui principale pericolo era l’accadimento in tempi brevi.

Le emergenze climatiche, unite agli altri eventi discriminatori, si abbatterono su queste comunità accentuando le disuguaglianze economiche e razziali.

“Ciò che sorprende più di ogni altra cosa, poi, fu la velocità con cui questi cambiamenti si susseguirono”, fa notare Larsen. “Se si confronta il lasso di tempo di 6 milioni di anni di evoluzione umana con la durata della transizione dal foraggiamento all’agricoltura, assieme agli effetti prodotti e giunti fino a noi, nella scala della vita di un uomo può sembrare molto tempo, ma nella realtà non lo è”, sottolinea Larsen.

Lo studio ha dimostrato anche la straordinaria capacità di adattamento all’ambiente degli esseri umani.

“Siamo creature straordinariamente resistenti, come hanno dimostrato gli ultimi 12000 anni.

Questa qualità, la capacità di adattamento, mi dà fiducia per il successo nelle sfide che la nostra specie dovrà incontrare nel futuro”, conclude lo scienziato.

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