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Le varie conseguenze della ‘collisione che cambiò il mondo’

Scritto da Leonardo Debbia il 12.05.2019

La superficie terrestre non ha avuto sempre l’aspetto che vediamo oggi.

Negli oltre quattro miliardi di vita del nostro pianeta, i continenti e gli oceani hanno cambiato di continuo forme e posizioni; e quelle che vediamo oggi sono destinate a cambiare ancora.

Quando, 50 milioni di anni fa, la massa continentale della penisola indiana entrò in collisione con il continente asiatico, la configurazione dei continenti cambiò – e non di poco – con ripercussioni non solo morfologiche, ma anche climatiche a livello globale.

Distribuzione dei continenti e degli oceani prima (in alto) e dopo (in basso) la “collisione che cambiò il mondo”, quando, tra i 70 e i 30 milioni di anni fa il subcontinente indiano entrò in collisione con la massa continentale asiatica, chiudendo la Tetide e generando il corrugamento himalayano. Un secondo spostamento fu provocato 30 milioni di anni fa, quando l'Antartide iniziò ad accumulare ghiaccio e il livello dei mari prese a scendere. (crediti: Emma Kast; Princeton University)

Distribuzione dei continenti e degli oceani prima (in alto) e dopo (in basso) la “collisione che cambiò il mondo”, quando, tra i 70 e i 30 milioni di anni fa il subcontinente indiano entrò in collisione con la massa continentale asiatica, chiudendo la Tetide e generando il corrugamento himalayano. Un secondo spostamento fu provocato 30 milioni di anni fa, quando l’Antartide iniziò ad accumulare ghiaccio e il livello dei mari prese a scendere. (crediti: Emma Kast; Princeton University)

Ora, un team di scienziati dell’Università di Princeton, nel New Jersey, USA, ha individuato un’altra conseguenza, oltre a quella morfologica, di quell’antico scontro titanico di masse continentali: un aumento dell’ossigeno negli oceani terrestri dell’epoca, che alterò le condizioni di vita degli organismi marini, facendo variare anche la percentuale di azoto e la biochimica dell’intero pianeta.

“Questi risultati dipingono scenari diversi da quelli pensati finora”, afferma Emma Kast, ricercatrice di Scienze della Terra presso l’Ateneo statunitense e autrice di un articolo sulla rivista Science di fine aprile scorso.

La Kast ha analizzato dettagliatamente microscopiche conchiglie marine per ricostruire la concentrazione dell’azoto oceanico nel periodo che va dai 70 ai 30 milioni di anni fa, precedente di poco l’estinzione dei grandi rettili.

“I risultati delle analisi eseguite sono un enorme contributo negli studi sul clima globale”, ha dichiarato John Higgins, professore associato di geoscienze a Princeton e co-autore dell’articolo sulla rivista.

Oltre ad essere il gas più abbondante nell’atmosfera, infatti, si è accertato che l’azoto è anche la chiave per spiegare la comparsa e la permanenza della vita sulla Terra.

Ogni organismo terrestre, per rimanere in vita, ha bisogno di ‘fissare’ (o di metabolizzare) una certa quantità di azoto, definito anche ‘azoto biologicamente disponibile’.

L’azoto è un gas che costituisce il 78 per cento dell’atmosfera del nostro pianeta, ma che alcuni organismi sono in grado di fissare nella loro struttura, convertendolo in una forma utile dal punto di vista biologico.

Negli oceani, i cianobatteri delle acque superficiali fissano azoto per tutta la vita e quando muoiono vanno a depositarsi sui fondali, decomponendosi lentamente e rilasciando azoto.

L’azoto ha due isotopi stabili, definiti con le sigle 15N e 14N.

Nelle acque povere di ossigeno o addirittura anossiche (prive di ossigeno), la decomposizione consuma l’azoto ‘fissato’.

Questo si verifica in particolare per l’isotopo più leggero, il 14N, andando quindi a variare il rapporto 15N/14N dell’oceano, che si ripercuote a sua volta sui livelli di ossigeno disciolto nelle acque.

Questo rapporto è fisso in certi microrganismi marini chiamati ‘foraminiferi’ durante la loro vita e si conserva nei loro gusci dopo la morte.

Analizzando i foraminiferi fossili raccolti dall’ Ocean Drilling Program nel Nord e Sud Atlantico e nel Nord Pacifico, Kast e i suoi collaboratori sono stati in grado di ricostruire il rapporto 15N/14N degli antichi oceani e quindi valutare i cambiamenti dei livelli di ossigeno nelle acque di decine di milioni di anni fa.

L’ossigeno nelle acque è essenziale perchè regola la distribuzione degli organismi marini: acque povere di ossigeno possono essere proibitive per la maggior parte della vita in mare.

In passato, si sono verificati vari eventi climatici che hanno causato diminuzioni dell’ossigeno negli oceani; eventi che hanno limitato gli habitat degli organismi, dal microscopico plancton ai pesci e ai grandi cetacei, che si nutrono di plancton e di pesci.

Gli scienziati che cercano di prevedere l’impatto del riscaldamento globale, sia per l’attuale che per il futuro, hanno sottolineato che bassi livelli di ossigeno nelle acque degli oceani potrebbero comportare la decimazione di interi ecosistemi marini, portando alla scomparsa di importanti famiglie ittiche.

Una volta raccolti ed esaminati i dati provenienti dallo studio geologico sull’azoto oceanico, i ricercatori statunitensi hanno scoperto che nei 10 milioni di anni che sono seguiti all’estinzione dei dinosauri, il rapporto 15N/14N si manteneva elevato, mentre, al contrario, i livelli di ossigeno degli oceani erano bassi.

Inizialmente, gli studiosi avevano pensato che la responsabilità di questo fenomeno fosse da attribuire al clima caldo dell’epoca, dato che l’ossigeno è meno solubile in acqua calda. Ma i dati raccolti oggi hanno raccontato una storia diversa: la transizione verso una maggiore quantità di ossigeno negli oceani si è verificata intorno ai 55 milioni di anni fa, in un periodo di clima costantemente caldo.

“Dunque, non è stato il clima più caldo a cambiare il ciclo dell’ossigeno e dell’azoto negli oceani”, ha concluso la Kast.

L’attenzione è stata quindi focalizzata sulle placche tettoniche, i frammenti di crosta terrestre che ‘galleggiano’, spostandosi sul mantello fluido.

Nel Giurassico, 250 milioni di anni fa, i movimenti delle placche provocarono la collisione dell’India con l’Asia – il gigantesco urto definito la ‘collisione che ha cambiato il mondo’ dal leggendario geoscienziato Wally Broecker, il padre della moderna ricerca sul clima – che chiuse l’antico oceano disposto in senso Est-Ovest chiamato Tétide, alterando profondamente le piattaforme continentali  e le loro connessioni e originando nuovi continenti e nuovi oceani.

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