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L’impatto di una cometa innescò un antico cambiamento climatico

Scritto da Leonardo Debbia il 28.10.2016

Potrebbe essere stato l’impatto di una cometa con la Terra, 56 milioni di anni fa, ad aver innescato l’aumento di anidride carbonica atmosferica che, a sua volta, avrebbe prodotto un rapido riscaldamento del pianeta; il periodo conosciuto come Massimo termico del Paleocene-Eocene o PETM.

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Microtectite scoperta tra i sedimenti del Massimo termico Paleocene-Eocene (credit: Rensselaer Polytechnic Institute)

Ad avvalorare questa ipotesi, peraltro non nuova, sono giunti alcuni ricercatori statunitensi che, mediante l’esame di alcuni sedimenti lungo la costa del New Jersey, hanno scoperto che 56 milioni di anni fa un oggetto extraterrestre ha effettivamente colpito la Terra e, al tempo stesso, si è verificato un misterioso rilascio di CO2 nell’atmosfera che ha contribuito al riscaldamento del pianeta per decine di migliaia d’anni.

La prova di questo scontro è stata individuata nella presenza di microtectiti, piccole sferule vetrose scure – tipico prodotto di impatti con altri corpi celesti – alla base di uno strato sottile di argilla, ritenuto l’inizio del PETM.

I campioni del sedimento, esaminati dal geochimico Morgan Schaller, del Rensselaer Polytechnic Institute di Troy (New York), provenivano da carotaggi effettuati nelle vicinanze di Millville, Wilson Lake e Medford, sulla costa orientale del New Jersey, dove sembrano essersi accumulati in tempi molto rapidi.

La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Science da Dennis Kent, scienziato della Columbia University.

“Dai dati in nostro possesso si desume che all’epoca del deposito di questo sedimento avvenne un impatto della Terra con materia extraterrestre”, ribadisce Schaller. “La coincidenza di un impatto del genere con un importante cambiamento climatico non può essere stata casuale”.

Kent, Schaller e altri ricercatori del Rensselaer Polytechnic Institute si trovavano lungo le coste del New Jersey alla ricerca di foraminiferi, fossili dai gusci microscopici, quando notarono la presenza di una microtectite nel sedimento che stavano esaminando.

Sebbene non sia insolito trovare fossili nei sedimenti del PETM, finora non erano mai state rinvenute microtectiti, minuscoli oggetti vetrosi, di forma tipicamente sferica o a goccia, costituiti principalmente da silicati, ritenuti il risultato dell’impatto di un oggetto celeste sulla superficie terrestre talmente energico da fondere e vaporizzare l’area di caduta.

Le microtectiti si formano dalle rocce vaporizzate e disperse in goccioline nell’aria, che ricadono a distanze anche grandi dal punto dell’impatto, raffreddandosi e consolidandosi durante la ricaduta.

Nei sedimenti del New Jersey furono individuate ben tre microtectiti per grammo di sedimento, alcune contenenti ‘quarzo da shock’, una ulteriore prova della loro origine.

Una caratteristica del PETM è che in quel periodo l’anidride carbonica atmosferica crebbe rapidamente e il picco delle temperature globali aumentò, oscillando dai 5 agli 8 gradi e perdurando per circa 150-200mila anni. Durante questo periodo la Terra rimase libera dai ghiacci e il livello dei mari si innalzò notevolmente.

Sebbene questi dati fossero in gran parte noti, non si conosceva tuttavia la fonte della CO2 e ancora oggi poco si sa sulla sequenza degli eventi: come e quanto rapidamente l’anidride carbonica venne immessa nell’atmosfera; quanto velocemente la temperatura iniziò a salire e il tempo che impiegò ad interessare tutto il globo.

Le ipotesi formulate finora variavano da massicce eruzioni vulcaniche, protrattesi dai 5 ai 20mila anni, alla vaporizzazione di giacimenti di metano congelato sul fondo degli oceani, in concomitanza con fattori astronomici, quali la variazioni dell’asse di rotazione terrestre, che avrebbe potuto incidere a sua volta sulla circolazione delle acque marine globali.

Si sa per certo che si verificò un improvviso cambiamento nel rapporto degli isotopi di carbonio (atomi con lo stesso numero di elettroni e protoni ma contenenti un numero diverso di neutroni nel nucleo) in alcuni fossili del tempo, ad esempio nel guscio dei foraminiferi.

“Nei fossili il rapporto tra carbonio-12 e carbonio-13 nelle varie specie, stabile fino ad un certo punto, varia bruscamente per circa 200mila anni, per poi tornare ai vecchi livelli in fossili successivi”, afferma Schaller. “L’evento è caratterizzato da un rapido incremento di C-13 nell’atmosfera. Una cometa potrebbe aver innescato questo processo, anche se la quantità di carbonio rilasciato non è sufficiente a spiegarne l’abbondanza, se non ricorrendo ad altre fonti”.

La cometa, da sola, quindi, non basterebbe a spiegare la quantità di carbonio isotopico riscontrata.

Secondo Kent, l’impatto potrebbe però aver disciolto il metano congelato dal fondo oceanico o aiutato una massiccia eruzione di vulcani, se non addirittura concorso in entrambi i processi.

Non c’è concordanza di vedute, nel mondo scientifico, sugli effettivi eventi accaduti.

Gli studiosi statunitensi non dicono che la presunta cometa sia la causa primaria del PETM.

La scoperta delle microtectiti, tuttavia, segna un significativo innesco di uno o più dei processi descritti.

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