Un nuovo studio sostiene che la caratteristica principale della nostra specie (Homo sapiens), quella che la rende ‘unica’, non è la capacità del ‘simbolismo’ o del linguaggio, nè l’acquisizione delle tecnologie o lo sviluppo cognitivo – tutti gradini saliti nel corso dei processi evolutivi – quanto piuttosto la sua plasticità ecologica; l’essere, cioè, in grado di adattarsi alla varietà degli ambienti in cui viveva.
La specie, secondo questa ricerca, avrebbe così sviluppato, nel tempo, una nuova nicchia ecologica, quella di ‘specialista generalista’.
Distribuzione potenziale di ominidi arcaici (H.erectus, H.floresensis, H.neandertalensis Denisova e ominidi africani arcaici nel Vecchio Mondo e diffusione di H.sapiens tra circa 300 e 60mila anni fa. (crediti: Roberts e Stewart, 2018)
Ma cerchiamo di spiegare meglio.
Nello scorso mese di luglio è stata pubblicata sulla rivista Nature Human Behaviour, a firma degli studiosi Patrick Roberts e Brian A.Stewart, una raccolta di dati archeologici e paleoambientali relativi alla diffusione degli ominidi, sia all’interno che fuori dall’Africa, durante il Pleistocene Medio e Superiore, tra i 300 e i 12 mila anni fa.
La raccolta mostra una serie di impostazioni ambientali e di adattamenti che sono unici per la specie Homo sapiens rispetto agli ominidi che la precedettero o anche ai suoi contemporanei, quali Homo neanderthalensis e Homo erectus.
In altri termini, la capacità di H.sapiens di vivere, a livello globale, in ambienti molto diversi viene a porsi in netto contrasto con gli adattamenti ecologici degli altri ominidi e può spiegare come la nostra specie rappresenti, di fatto, gli ultimi ominidi sopravvissuti sulla Terra.
Lo studio, condotto da studiosi dell’Istituto Max Planck per la Scienza della storia umana e da colleghi dell’Università del Michigan, suggerisce che le indagini su ciò che significa ‘essere umani‘ dovrebbero passare attraverso le prime tracce materiali di ‘arte’, ‘lingua’ e/o ‘complessità tecnologica’ per giungere ad una miglior comprensione di ciò che rende la nostra specie ecologicamente unica.
Di fatto, a confronto con i suoi antenati, H.sapiens non solo ha colonizzato una serie di ambienti impegnativi come deserti, foreste pluviali tropicali, alta montagna e clima paleoartico, ma si è anche specializzata nel suo adattamento ad alcuni di questi ambienti estremi.
Sebbene tutti gli appartenenti al genere Homo vengano definiti ‘umani’ anche negli ambienti accademici, questo gruppo evolutivo, emerso in Africa 3 milioni di anni fa, è in realtà molto vario.
Un milione di anni fa alcuni membri del genere Homo (specie erectus) raggiunsero la Spagna, la Georgia (Europa), la Cina e l’Indonesia (specie floresiensis), ma furono tutti in realtà ‘sfruttatori’ di ambienti esistenti (foreste o praterie).
Anche sulle potenzialità dei Neanderthal, qualcuno ha inteso allargarle alle zone subartiche, ma un’ accurata revisione delle prove fossili ha portato poi a ridimensionare il loro habitat a foreste e prati, dalla temperata Eurasia al Mediterraneo.
Contrariamente a questi membri del genere Homo, la nostra specie è cresciuta in nicchie di livello superiore rispetto agli altri ominidi suoi predecessori e contemporanei di quell’arco temporale tra gli 80 e i 50mila anni fa, iniziando già verso i 45mila anni a colonizzare gli ambienti paleoartici e le foreste tropicali in Asia, Melanesia e nelle Americhe.
Gli autori sostengono che il continuo arricchimento nella registrazione di dati ambientali che vengono associati alla nostra specie “spazia dai deserti dell’Africa settentrionale alla Penisola Arabica e all’India nord-occidentale, alle alte quote del Tibet e delle Ande; testimoniando il grado raggiunto dai Sapiens nelle proprie capacità adattative in relazione all’esistenza in queste regioni”.
Allorchè si intenda risalire alle origini evolutive, intorno ai 300-200mila anni fa, individuare le origini di questa ‘plasticità’ ecologica, di questa capacità di occupare ambienti tanto diversi, diventa sempre più difficile, specialmente per quanto riguarda l’Africa. Anche se va detto che la ricerca, attraverso nuove metodologie e tecniche d’indagine e l’aiuto di altre discipline, finora ignorate, fa di tutto per chiarire sempre più i passaggi e le difficoltà evolutive.
Una delle principali conclusioni degli autori è che la prova della diffusione umana in una così vasta diversità di ambienti, tanto differenti tra loro nella maggior parte dei continenti terrestri durante il Pleistocene Medio e Superiore, suggerisce la costituzione di una nuova nicchia ecologica, quella della specie ‘specialista generalista’.
Parrebbe un ossimoro, ma secondo Roberts, “esiste una dicotomia ecologica tra specie ‘generaliste’, che possono quindi utilizzare una quantità di risorse diverse e vivere in una varietà di condizioni ambientali e specie ‘specialiste’, che hanno una dieta limitata e soffrono di una ristretta tolleranza ambientale.
H.sapiens offre prove di popolazioni ‘specialiste’ – i cacciatori di mammut paleoartici ne sono un esempio – che risultano ben inserite in quella che viene definita come specie ‘generalista’.