La polizia boliviana blocca la marcia degli indigeni a 250 km dalla capitale La Pazv che protestano contro la costruzione di un’autostrada. Circa mille dimostranti delle popolazioni residenti nel parco nazionale del TIPNIS sono stati fermati e dispersi violentemente con gas lacrimogeni e cariche della polizia nonostante fosse una marcia pacifica e tra i dimostranti ci fossero anche bambini e donne incinte. La polizia è intervenuta, secondo le fonti ufficiali, per impedire che gli indigeni venissero in contatto con gruppi di manifestanti avversi presenti nella capitale.
Motivo del contendere è il tracciato dell’autostrada che dovrebbe collegare il nord della Bolivia con il sud, partendo da San Ignacio De Moxos e arrivando a Villa Tunari passando al centro del territorio della foresta pluviale abitato dalle popolazioni Moxeño, Yuracaré e Chimánare. Questo territorio, il cui nome è TIPNIS, è un parco nazionale e una riserva per gli indigeni.
L’autostrada fa parte di un progetto internazionale che prevede di collegare la costa est dell’America Latina con l’Oceano Pacifico; i nativi non chiedono la sospensione dell’opera, ma che venga rivisto il tracciato in modo che non venga tagliato a metà il loro territorio, ma che la strada lo lambisca in periferia. Essi temono, infatti, che tale strada possa alterare gli equilibri ecologici della foresta pluviale e di conseguenza tutta la loro economia basata sulla caccia e sulla pesca e, in minima parte, sull’agricoltura. Una strada al centro del loro territorio darebbe inoltre facile accesso a bracconieri e taglialegna illegali e aprirebbe le porte per la deforestazione a favore della agricoltura intensiva.
Dall’altra parte, a favore della costruzione dell’autostrada ci sono ovviamente pesanti interessi economici, Brasile e Cina in primis. Il Brasile in particolare sostiene l’opera con l’80% dell’investimento, circa 415 milioni di dollari, in quanto ha bisogno di uno sbocco sull’Oceano Pacifico per esportare i propri prodotti verso i mercati dell’est asiatico. Inoltre, le multinazionali del petrolio avrebbero facile accesso alle trivellazioni per la ricerca di greggio come già accaduto in Ecuador, dove il governo ha dato in concessione due terzi della foresta amazzonica del paese; per non parlare dei coltivatori e trafficanti di cocaina che avrebbero un’importante e comoda via di comunicazione per i loro commerci.
Il presidente Morales ha riassunto il tutto dicendo che sarà una opportunità di sviluppo per la regione e per tutta la Bolivia, tralasciando di parlare delle pressioni economiche esercitate dal Brasile e sorvolando sul fatto che la sua etnia, gli aymara, assieme ai quechua, abitanti dell’altopiano, sono i principali cocaleros (coltivatori e trafficanti di coca) della regione.
I manifestanti chiedono che venga rispettata la costituzione che lo stesso Morales ha promulgato: ogni azione sul territorio della foresta pluviale deve essere presa previa consultazione con le popolazioni locali. Sotto pressione e dopo le dimissioni di due ministri del suo governo in seguito alla violenza della polizia nel bloccare i manifestanti, il presidente ha momentaneamente bloccato il progetto nell’attesa che si plachino le polemiche, anche se il primo tratto è già in fase di costruzione. Tuttavia, per non lasciare dubbi, ha dichiarato che “se anche si facessero le consultazioni, queste non avrebbero nessun valore vincolante per il governo” e che “in ogni caso la strada si farà”. Gli ha dato man forte il vice-ministro per la decolonizzazione, dichiarando che “questa non sarà l’unica strada che verrà costruita in aree protette per favorire lo sviluppo della Bolivia”
Con buona pace dei diritti civili e della foresta pluviale.