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Italia ancora in salute ma è grassa, vecchia, pigra e più povera

Scritto da Redazione di Gaianews.it il 09.03.2011

Italiani grassiIl rapporto 2010 di Osservasalute mostra comportamenti sempre più a rischio tra i giovani e le donne. E alcune regioni rischiano la catastrofe a causa dei problemi della sanità regionale.

La salute degli italiani – secondo il rapporto 2010 dell’osservatorio Osservasalute – , per quanto ancora discreta, si va sgretolando a colpi di cattivi comportamenti per quanto riguarda l’alimentazione, la sedentarietà e il consumo di alcol in eccesso, soprattutto tra i giovani. Queste abitudini sembrano star diventando la norma e quindi non c’è più la spinta a cambiarle. Anche la salute delle donne perde terreno, infatti ha smesso di crescere la loro aspettativa di vita, basti pensare che negli ultimi 5 anni, l’aspettativa di vita delle donne è aumentata di appena tre mesi (da 84 anni nel 2006 a 84,1 anni nel 2009, 84,3 nel 2010), mentre per gli uomini è aumentata di sette mesi nello stesso arco di tempo (da 78,4 anni nel 2006 a 78,9 anni nel 2009, 79,1 nel 2010).

E le donne, incuranti della propria salute, stanno sempre più assumendo stili di vita che ricalcano quelli maschili, per esempio il consumo di alcol: sono infatti aumentate le donne adulte (19-64 anni) con consumi di alcol a rischio (si ritengono a rischio le donne che eccedono il consumo di 20 grammi di alcol al giorno, 1-2 Unità Alcoliche), la prevalenza è passata dall’1,6% nel 2006 al 4,9% nel 2008.

“Ma i problemi di salute degli italiani non dipendono solo dalla loro cattiva volontà che li porta a essere sedentari e poco inclini a corretti stili di vita” – ha dichiarato il Professor Walter Ricciardi, direttore dell’Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma – “bensì anche dal deteriorarsi, soprattutto nelle regioni in difficoltà sul piano economico (soprattutto al Sud), di interventi adeguati per mancanza di investimenti nella prevenzione. A ciò si aggiunge il problema della chiusura degli ospedali che, sebbene concepita per razionalizzare il sistema, determina però poi la riduzione dei posti letto e della ricettività per le emergenze”.

“In dieci anni di federalismo sanitario, con la sanità ormai trasferita interamente alle regioni, il problema è che quelle deboli corrono il rischio di essere travolte, la sanità rischia cioè di essere l’elemento dirompente della Regione in toto”, ha affermato il professor Ricciardi.

“L’egemonia che hanno avuto i piani di rientro sul governo dei conti approfondisce il baratro dei servizi e della sostenibilità delle regioni, erodendo i servizi sociali e sanitari.

Alla necessaria azione di risanamento dei conti deve essere infatti affiancata, una coerente strategia di programmazione e controllo dei servizi sanitari, basata su evidenze epidemiologiche e scientifiche “forti”, senza le quali i problemi delle regioni in difficoltà sono destinati ad aggravarsi in modo progressivo”.

È questa la situazione che emerge dall’ottava edizione del Rapporto Osservasalute (2010), un’approfondita analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell’assistenza sanitaria nelle Regioni italiane presentata oggi all’Università Cattolica.

Povertà inizia a “mordere”

Il ricorso alle cure odontoiatriche da parte dei cittadini è un buon termometro per la disuguaglianza di accesso ai servizi sanitari, infatti varia significativamente per età e status socio-economico, soprattutto perché in Italia il ricorso a queste cure è quasi sempre a carico delle famiglie. Infatti quasi un italiano su 10 (9,7% delle persone dai 16 anni in su) non ha potuto sottoporsi a una visita specialistica per la salute della bocca, pur presentandone la necessità.

Esiste un chiaro gradiente territoriale Nord-Sud. Sei regioni (Campania, Sardegna, Puglia, Sicilia, Calabria e Basilicata) presentano valori superiori a quello nazionale per quel che concerne la necessità insoddisfatta di una visita dal dentista, tutte queste aree si trovano nel Sud. Il valore più elevato si registra in Basilicata (16,1%), mentre quello più contenuto caratterizza la Valle d’Aosta (3,5%). Valori inferiori all’8% si registrano anche in Liguria, Umbria, Friuli Venezia Giulia e nelle due Province Autonome del Trentino Alto Adige.

 

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