Nello studio di Susan M. Landau, dottore di ricerca presso l’Università di California- Berkeley e colleghi, sono stati eseguiti una tomografia ad emissione di positroni e dei test neuropsicologici su un campione cognitivamente normale di partecipanti anziani.
I risultati indicano che la maggiore partecipazione ad attività cognitivamente stimolanti per tutta la vita, ma soprattutto nei primi anni, sembra essere associata ad una ridotta presenza di proteine che causano le placche caratteristiche del morbo. Le persone anziane con la più alta attività cognitiva sembrano mostrare un livello di β-amiloidi paragonabile ai giovani del gruppo di controllo, mentre quelli con la più bassa attività cognitiva sono paragonabile ai pazienti con Alzheimer.
Nonostante la maggiore attività cognitiva fosse associata con una maggiore attività fisica, l’esercizio non è stato associato ad una minore presenza di β-amiloidi, notano gli autori. I ricercatori suggeriscono che la tendenza ad impegnarsi in attività cognitivamente stimolante è probabilmente correlata ad una varietà di pratiche di vita che già in altri studi che mostrano un rischio ridotto di Alzheimer.
“E’ improbabile che i nostri risultati riflettano una singola causa unitaria dell’Alzheimer, che è una malattia complessa con molti processi patogenetici in atto. Inoltre, l’attività cognitiva è solo una componente di un insieme complesso di stili di vita legati al rischio di Alzheimer che dovranno ancora compresi”, concludono i ricercatori. “Tuttavia, i risultati attuali estendono i risultati precedenti che mostrano una relazione inversa tra la stimolazione cognitiva e il rischio di Alzheimer”.