Sulle montagne del Laos settentrionale, in un altopiano della provincia di Xieng Khoung, si ergono migliaia di giganteschi vasi o giare in pietra, ognuno del peso di diverse tonnellate, sparsi un po’ ovunque attorno alla città di Phonsavan.
Si tratta di circa 3000 enormi contenitori in pietra, di un’altezza compresa tra i 50 centimetri e i tre metri, disposti in gruppi di centinaia e distribuiti in 90 siti diversi.
Pare che ad avvistare per primo il sito sia stata una guardia di confine francese nel 1909.
Gli scavi, iniziati nel 1931, portarono alla luce dei resti umani e delle offerte votive, il che fece presumere che i vasi fossero una sorta di urne funerarie e non di contenitori per alimenti o bevande.
Il materiale di cui sono costituite le giare è per la maggior parte arenaria calcarea o granito e alcune presentano decorazioni sulla superficie esterna.
A tutt’oggi si ignora quale civiltà abbia potuto erigere queste strutture e a quale uso fossero destinate.
La ‘Piana delle giare’, come è stata chiamata l’intera area, costituisce oggi uno dei siti archeologici più importanti e misteriosi del sud-est asiatico e si ritiene possa avere un’età di circa 2000 anni.
La causa di una mancata ricognizione completa del sito da parte di spedizioni archeologiche è da imputare alla sua collocazione, che negli anni ’60, durante la guerra tra Stati Uniti e Vietnam, la vide come continuo bersaglio di intensi bombardamenti con cui milioni di bombe vennero sganciate su quel territorio, ancora oggi solo parzialmente ‘bonificato’.
Per una datazione più accurata possibile, recentemente è stata condotta un nuovo studio del sito, considerato patrimonio mondiale dell’UNESCO, e il team di ricercatori australiani è riuscito a stabilire che le giare di pietra furono probabilmente collocate nella posizione in cui le vediamo oggi in un periodo databile tra il 1240 e il 660 a.C.
A confermare questa datazione sarebbero i campioni di sedimenti provenienti dall’interno dei vasi di pietra, provenienti da due degli oltre 120 siti megalitici registrati dal team guidato dalla dottoressa Louise Shewan, della Melbourne University, in collaborazione con il professor Dougald O’Reilly, dell’Australian National University (ANU) e il dottor Thonglith Luangkoth, del Dipartimento del Patrimonio del Laos.
I campioni di sedimenti sono stati analizzati utilizzando la tecnica della luminescenza otticamente stimolata (OSL) con cui è possibile determinare il tempo in cui i grani di sedimento rimasti sotto i vasi sono stati esposti per l’ultima volta alla luce solare.
“Con i nuovi dati ottenuti dal radiocarbonio usato sul materiale scheletrico e sui resti fossili provenienti da altri contesti di sepoltura, ora sappiamo che questi siti hanno mantenuto il loro significato rituale dal periodo del posizionamento iniziale dei vasi”, spiega la dottoressa Shewan.
I ricercatori hanno completato i loro scavi più recenti nel marzo 2020, indagando il sito 1 (Ban Hai Hin), per poi tornare in Australia subito dopo, a causa della chiusura delle frontiere per l’isolamento pandemico.
Il sito 1 ha anche rivelato altre sepolture intorno ai vasi, riassegnandolo, con la datazione delle ossa con il metodo del radiocarbonio, ad un periodo compreso tra l’VIII e il XIII secolo dopo Cristo.
Sono anche state confermate le osservazioni precedenti riguardo i dischi di pietra disseminati tra i vasi in tutto il sito, riconoscendoli esclusivamente come ‘indicatori’ per i vasi di sepoltura in ceramica sottostanti.
Secondo gli studiosi il posizionamento delle giare sarebbe antecedente l’attività funeraria, indicando quindi una riutilizzazione di questi luoghi e un loro durevole significato culturale.
Shewan e collaboratori pubblicano oggi sulla rivista PLOS One i nuovi risultati ottenuti con il metodo del radiocarbonio e introducono anche dati geocronologici che determinano la probabile fonte della cava per uno dei più grandi siti megalitici, il sito 1.
Un confronto condotto presso l’ANU dal prof. Richard Armstrong fra l’arenaria delle giare di un sito e quella di varie cave circostanti avrebbe consentito ai ricercatori di identificare la probabile zona di provenienza del materiale da una cava distante circa 8 chilometri.
“Il modo con cui le gigantesche giare siano state spostate dalla cava al sito, tuttavia, rimane un mistero”, afferma il prof. O’Reilly.
Il programma delle indagini future prevede di ottenere ulteriori campioni da altri siti di tutta l’area geografica interessata da questa cultura megalitica, per capirne meglio l’origine e saperne di più sul periodo in cui furono erette queste enigmatiche strutture.