Nella vita quotidiana usiamo oggetti di cui non è raro ignorarne spesso l’origine o chi sia stato il primo a farne uso. E’ il caso del ‘vaso da notte’ o pitale, ormai al giorno d’oggi, con i moderni impianti igienici a disposizione, diventato un oggetto obsoleto, ma che fino a qualche decennio fa nelle case dei nostri nonni veniva regolarmente utilizzato.
Chi sarà stato il primo a servirsi di questo oggetto, una comodità antica che ha resistito per secoli fino ai tempi moderni?
Sappiamo per certo che Greci e Romani ne facevano un uso assiduo (anche se non sappiamo se sia stata una usanza tramandata o concepita indipendentemente dai due popoli), dal momento che la maggior parte delle abitazioni di quel tempo era sprovvista di servizi igienici.
I Romani chiamavano il vaso metella, scaphium o lasanum e il materiale di cui era fatto era
l’argillla, mentre l’argento o l’oro erano riservati ai ricchi.
Una nuova ricerca, pubblicata in questi giorni sulla rivista Journal of Archaelogical Science Report, rivela come gli archeologi siano riusciti a riconoscere, tra i tanti vasi o contenitori simili, l’uso di un vaso che in epoca romana era destinato a questa specifica funzione.
“I vasi conici di questo tipo sono stati ampiamente riconosciuti nell’ Impero Romano, in assenza di altre prove, e sono stati spesso chiamati vasi di stoccaggio. La loro scoperta nelle vicinanze di latrine pubbliche aveva portato gli archeologi a ritenerne l’utilizzo come vasi da notte, anche se finora erano mancate prove concrete di questa particolare destinazione”, afferma Roger Wilson, docente nel Dipartimento di studi classici del Vicino Oriente presso l’Università di Cambridge, che ha esaminato uno di questi vasi rinvenuto a Gerace, in Sicilia.
Gli archeologi di Cambridge hanno recuperato i residui di materiale che incrostavano l’interno di un vaso di ceramica risalente al V secolo a.C. in una villa romana.
Utilizzando la microscopia per identificare la presenza di eventuali parassiti intestinali, gli analisti dell’Ancient Parasites Laboratory hanno così individuato la presenza di uova di tricocefali, a conferma che il vaso aveva contenuto feci umane.
“E’ stato emozionante trovare le uova di questi vermi parassiti 1500 anni dopo il loro deposito”, sostiene il co-autore Tiany Wang, che ha preso parte all’osservazione microscopica.
I tricocefali sono parassiti umani lunghi circa cinque centimetri e vivono sul rivestimento del nostro intestino. Le uova che vengono deposte si mescolano alle feci umane e si accumulano in strati sulle superficie interne dei vasi che, se usati ripetutamente, danno luogo alle concrezioni analizzate dagli studiosi di Cambridge.
Come ci si liberava del contenuto? – qualcuno si chiederà.
Per questo, l’antica Roma era provvista di un efficiente sistema fognario che consentiva di raccogliere i liquami e convogliarli fuori città.
I vasi da notte venivano quindi vuotati, al mattino, dagli schiavi presso fosse adeguatamente preposte o presso le latrine.
Allo scopo di impedire che qualche furbastro ritenesse più comodo vuotare il vaso dalla finestra erano state disposte multe severe che venivano impartite da guardie appositamente addestrate.
Su un muro di Pompei è stato rinvenuto un graffito in cui un cittadino ammonisce: “Sudicione! Se ti acchiappano, ti fanno di sicuro la multa. Stai attento!”.