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Trovata placca su denti fossili: una ‘Pompei dei microbi’

Scritto da Leonardo Debbia il 27.02.2014

Un team internazionale di ricercatori ha scoperto una ‘Pompei microbica’ conservata sui denti di scheletri antichi di 1000 anni.

La chiave della scoperta è la placca dentaria (o tartaro), il deposito calcareo sulle superfici dei denti il cui contenuto di batteri e particelle microscopiche di cibo costituisce una vera e propria ‘tomba minerale’ per microbiomi, gli ‘aggregati, cioè, di patrimonio genetico di microrganismi in un dato ambiente’. In questo caso, la bocca.

Placca dentaria sui denti di un uomo di mezza età del sito medievale di Dalheim, Germania, ca. AD 1100. Crediti: Christina Warinner.

Placca dentaria sui denti di un uomo di mezza età del sito medievale di Dalheim, Germania, ca. AD 1100. Crediti: Christina Warinner.

I ricercatori hanno scoperto che nella cavità orale di questi antichi esseri umani si poteva osservare l’effetto degli agenti patogeni e della parodontite, causata dagli stessi batteri che agiscono ancora oggi, nonostante i cambiamenti avvenuti nelle diete e nell’igiene umana.

Oltre alle informazioni di natura sanitaria, gli scienziati hanno anche recuperato il DNA alimentare dell’antico tartaro, permettendo così l’identificazione di componenti della dieta – come le verdure – che solitamente non lasciano tracce nella documentazione archeologica.

Questa indagine pionieristica di ecologia antica, uno studio congiunto dell’Università di Zurigo, l’Università di Copenhagen e l’Università di York, ha visto il contributo di 32 scienziati e di 12 istituzioni appartenenti a sette Paesi diversi.

Pubblicata su Nature Genetics, la ricerca rivela che, a differenza del tessuto osseo, che perde molte della sue informazioni molecolari, la placca dentaria cresce lentamente, si forma in bocca e rimane nel terreno in uno stato molto più stabile, preservando le biomolecole.

Questo ha consentito ai ricercatori, guidati da Christina Warinner, dell’Università dell’Oklahoma, di analizzare il DNA antico, non compromesso dall’ambiente della sepoltura.

“La placca dentaria è una finestra sul passato e potrebbe rivelarsi una delle fonti meglio conservate di colonie di microbi umani”, spiega Christian von Mering, Direttore del Swiss Institute of Bioinformatics (SIB), autore dello studio, che con Matthew Collins, docente presso l’Università di York, ha dichiarato: “Sapevamo che la placca dentaria conservava particelle microscopiche di cibo e altri resti alimentari, ma il livello di conservazione delle biomolecole osservato è stupefacente: un microbioma sepolto e conservato in una matrice minerale, una sorta di Pompei microbica”.

“Il tartaro funge da serbatoio del microbioma orale sul lungo termine, un deposito-trappola per residui alimentari e ambientali”, ha aggiunto Christina Warinner.

“Questo ci permette di indagare sia stato di salute che stato patologico, ma anche di ricostruire aspetti della storia e delle attività della vita di un individuo. Finora non vi eravamo mai riusciti.”

Lo studio ha implicazioni notevoli sulla comprensione dell’evoluzione di un microbioma umano e sulle origini della malattia parodontale, che produce cambiamenti caratteristici della dentatura ed è caratterizzata da infiammazione cronica, talvolta seguita da perdita di denti e di tessuto osseo.

Enrico Cappellini, dell’Università di Copenhagen, descrive questa ricerca come una sorta di visita ad un ‘campo di battaglia di un sito archeologico. Soltanto, eseguita su scala molecolare’.

Oggi, la parodontite, comprendendo sia le forme moderate che quelle gravi, colpisce oltre il 10 per cento della popolazione mondiale ed è collegata a malattie sistemiche diverse, tra cui malattie cardiovascolari, ictus, malattie polmonari e diabete di tipo 2.

Anche se comuni tra gli esseri umani, gli animali domestici e gli animali da zoo, generalmente le patologie parodontiche non si sviluppano negli animali selvatici, e questo lascia presumere che si tratti di una malattia del microbioma orale connessa agli stili di vita umani.

“Viste le ulteriori informazioni sull’evoluzione di questa patologia, in risposta alle migrazioni e ai cambiamenti nella dieta, nella salute e nella medicina, posso immaginare un futuro in cui gli archeologi, nelle loro ricerche, considereranno la placca dentaria più interessante dei denti stessi”, conclude Collins.

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