Più di 21 milioni di anni fa, una frana catastrofica, una delle più grandi avvenute sulla superficie terrestre, interessò una gran parte del sud-ovest dello Utah. Tutto accadde nel giro di pochi minuti, secondo quanto riportato da un geologo della Kent State University, Ohio (KSU), in un articolo pubblicato sulla rivista Geology.
La frana di Markagunt – questo il nome attribuitole – con la sua superficie di 3400 chilometri quadrati, pari a circa quaranta volte l’area di Manhattan, diviene così una delle frane continentali più conosciute, dato che le più grandi in assoluto si trovano sui fondali oceanici.
Area comprendente la frana Markagunt tra le città di Beaver, Cedar City e Panguitch nel sud-ovest dello Utah
David Hacker, professore associato di Geologia alla KSU, ha trascorso le ultime due estati con altri due ricercatori, mappando l’intero raggio d’azione di questa frana.
Gli studiosi, finora, avevano individuato nella stessa area diversi antichi ammassi di rocce inseriti tra vene di lava, cenere e fango, non riconoscendone però l’insieme, prima che la recente mappatura mostrasse che si trattava di porzioni della enorme frana Markagunt.
Mediante escursioni a piedi attraverso le zone selvagge della National Forest Dixie e della Land Management, Hacker è riuscito ad identificato le caratteristiche che hanno evidenziato come la frana sia stata molto più grande di quanto si potesse immaginare, dato che ha interessato un’area compresa tra il Bryce Canyon National Park e la città di Beaver, nello Utah.
Facendo un confronto, la sua diretta ‘concorrente’ può ritenersi la frana ‘Heart Mountain’, verificatasi circa 50 milioni di anni fa nel nord-ovest del Wyoming, che fu scoperta nel 1940 e rappresenta tuttora un ‘classico’, ampiamente descritta nella letteratura geologica.
La frana Markagunt, una volta mappata in maggior dettaglio, potrebbe anche rivelarsi molto più grande della ‘Heart Mountain’.
“Crolli catastrofici su larga scala di campi vulcanici come questi sono rari, ma rappresentano le più grandi frane conosciute sulla faccia della Terra”, scrivono gli autori.
“La sua lunghezza – oltre 55 miglia – mostra anche che si trattò di un movimento quanto mai veloce”, afferma Hacker.
Una prova che dimostra quanto catastrofica e rapida sia stata la frana è il ritrovamento delle pseudotachiliti, rocce che furono fuse in vetro dall’immensa frizione.
Le pseudotachiliti sono rocce vetrose, di colore scuro, molto simili ai vetri basaltici, che si rinvengono in zone di impatto meteoritico o in zone interessate da frane collegate al collasso di grandi strutture, prodotte dalla frantumazione e dalla frizione che le porta velocemente alla fusione.
Tutti gli animali che si fossero trovati sul suo percorso sarebbero stati rapidamente travolti e sterminati.
Comunque, l’evento franoso non è, dopo tutto, così evidente.
“A prima vista, non si riconoscerebbe nemmeno come frana”, dice Hacker.
Ma le caratteristiche interne della frana, visibili negli affioramenti, consistono sia nelle fratture che nelle zone di taglio delle rocce, considerate assieme alla presenza delle pseudotachiliti.
Ma cosa può aver provocato una simile catastrofe?
Su questo si possono fare diverse ipotesi, essendo ancora tutto quanto oggetto di studio.
Alcuni propendono per inclinazioni del terreno associate a sollecitazioni di rocce magmatiche in risalita. La presenza di materiali vulcanici degradati in argille avrebbe potuto agire da lubrificante e favorire quindi uno scollamento e una caduta per gravità.
Hacker, che studia gli eventi geologici catastrofici, sostiene che una frana del genere viene originata quando un campo vulcanico composto da molti strato-vulcani crolla, come è accaduto al Monte St. Helen, nelle Cascade Mountains, in occasione della catastrofica eruzione del maggio 1980.
Il crollo potrebbe essere stato causato da un rigonfiamento verticale di camere magmatiche profonde che alimentavano i vulcani.
Hacker ha scoperto analoghe caratteristiche geologiche nella Pine Valley Mountains, a sud di Markagunt, dove ha trovato frane simili, anche se molto più piccole, dovute a intrusioni di magma chiamate ‘laccoliti’, espandimenti rocciosi di magmi basaltici in ascesa che, con la loro pressione, si insinuano tra gli strati superiori, senza sfociare in eruzioni, ma provocando sollevamenti e deformazioni morfologiche della superficie terrestre.