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Conservazione di carne ‘in scatola’ degli esseri umani di 400mila anni fa

Scritto da Leonardo Debbia il 17.11.2019

Alcuni ricercatori dell’Università di Tel Aviv, in collaborazione con colleghi spagnoli, hanno scoperto le prove della conservazione e del consumo ‘ritardato’ di midollo osseo animale nella grotta di Qesem vicino a Tel Aviv, un sito che ha fatto tornare alla luce molte scoperte importanti del tardo Paleolitico inferiore, attorno ai 400 mila anni fa.

La scoperta riveste una notevole importanza perchè fornisce prove dirette della conservazione di carne e ossa animali da parte degli esseri umani del Paleolitico; un modo per conservare carne e ossa, altrimenti deperibili, anche fino a nove settimane prima di consumarle.

Illustrazione di uomo preistorico accanto allo scheletro  di un animale ucciso

Illustrazione di uomo preistorico accanto allo scheletro  di un animale ucciso

Lo studio, pubblicato sulla rivista Science Advances del 9 ottobre scorso, è stato condotto dalla dottoressa Ruth Blasco, del Dipartimento di Archeologia e Civiltà antiche del Vicino Oriente presso l’Università di Tel Aviv (TAU) e del Centro Nacional de Investigacion Sobre la Evoluciòn Humana (CENIEH), in collaborazione con i colleghi Ran Barkai e Avi Gopher dello stesso Ateneo israeliano e con il prof. Jordi Rosell, dell’Universitat Rovira i Virgili (URV) di Tarragona.

“Il midollo osseo costituiva una fonte sostanziosa di nutrimento e come tale è stato a lungo presente nella dieta preistorica”, spiega il prof. Barkai. “Fino ad oggi le prove rinvenute avevano indicato che il midollo veniva consumato subito dopo l’abbattimento degli animali e la rimozione dei tessuti molli. Nel nostro studio, invece, si producono prove evidenti, rinvenute nella grotta di Qesem, di conservazione e di consumo di midollo osseo animale protratto nel tempo”.

“Di fatto, questa è la prima prova che attesta questo comportamento dei cacciatori e offre informazioni socio-economiche sugli esseri umani che vivevano a Qesem nel Paleolitico, fissando anche un punto di inizio per nuove modalità dell’ adattamento umano”, aggiunge la dottoressa Blasco.

“Gli esseri umani preistorici facevano scorta di parti del corpo scelte dalle carcasse degli animali cacciati”, spiega il prof. Rosell. “Allora, la preda più comune era il daino. Arti e teste venivano portate nella grotta, mentre il resto della carcassa veniva spogliato della carne e del grasso sulla scena stessa della caccia e lì abbandonato. Abbiamo scoperto che le ossa delle zampe di cervo, in particolare i metapodi – le parti centrali dei segmenti distali, braccia e zampe) – mostravano segni di taglio unici, molto differenti dai tagli per la rimozione della pelle fresca, a testimonianza della frattura intenzionale dell’osso per estrarne il midollo”.

I ricercatori sostengono che i metapodi di cervo sono stati conservati nella grotta coperti di pelli per facilitare la conservazione del midollo da consumare nei momenti del bisogno.

La conservazione del midollo osseo è stata valutata osservando un gruppo sperimentale di cervi, controllando i tempi di esposizione e i parametri ambientali combinati con analisi chimiche.

L’insieme dei risultati archeologici e di quelli sperimentali ha consentito agli studiosi di isolare i segni specifici legati alla rimozione della pelle secca e poter determinare così un basso tasso di degradazione del grasso midollare, valutato come buono fino a nove settimane di conservazione.

“Abbiamo scoperto che conservare l’osso con la pelle per un periodo che avrebbe potuto durare alcune settimane, ha permesso a questi primi esseri umani di rompere l’osso quando era necessario e succhiare il midollo osseo ancora integro”, aggiunge la dottoressa Blasco.

“In pratica, le ossa sono state utilizzate come le moderne ‘lattine’, adatte alla conservazione del midollo per un lungo periodo, fino a quando non fosse giunto il momento di togliere la pelle secca, frantumare l’osso ed estrarne il midollo”, sottolinea il prof. Barkai.

Fino a poco tempo fa si credeva che i cacciatori-raccoglitori paleolitici vivessero ‘alla giornata’, consumando in poco tempo tutto ciò che avevano raccolto o cacciato e sopportando poi lunghi periodi di fame, quando le fonti alimentari scarseggiavano.

“Per la prima volta, con il nostro studio, mostriamo che dai 420mila ai 200mila anni fa gli umani della grotta di Qesem erano già sufficientemente esperti, intelligenti e talentuosi da sapere che era possibile conservare delle ossa di animali in particolari condizioni e, quando necessario, rimuovere la pelle, rompere l’osso e nutrirsi del midollo”, spiega il prof. Gopher.

Questa scoperta va ad unirsi ad altre prove di comportamenti innovativi scoperti nella grotta di Qesem, tra cui l’uso regolare del fuoco, la cottura e l’arrostimento della carne.

“Siamo giunti alla conclusione che alla base di questa evoluzione ci sia stata una sopraggiunta carenza di elefanti nella regione, che avrebbe spinto quegli umani ad inventarsi nuovi modi per sopravvivere”, sostiene il prof. Barkai. “Questo comportamento ha consentito all’uomo di crescere, di evolversi e di rientrare in una tipologia di esistenza socio-economica molto più avanzata”.

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