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Prima migrazione umana dall’Africa verso la penisola arabica

Scritto da Leonardo Debbia il 30.04.2018

Archeologi che indagano sul campo nel deserto Nefud dell’Arabia Saudita hanno scoperto un osso fossile di un antico membro della nostra specie, l’Homo sapiens.

Quest’osso rappresenta il più antico fossile di Homo sapiens datato rinvenuto al di fuori dell’Africa e del Levante immediatamente adiacente, e questo indica che le prime dispersioni degli esseri umani moderni in Eurasia erano state più frequenti e più varie di quanto si sia ritenuto fino ad oggi.

Ossa di dita di Homo sapiens rinvenute nel sito di Al Wusta, Arabia Saudita (crediti: Ian Cartwright)

Ossa di dita di Homo sapiens rinvenute nel sito di Al Wusta, Arabia Saudita (crediti: Ian Cartwright)

 

Finora si pensava infatti che le prime diffusioni di popolazioni in Eurasia non fossero andate a buon fine e si fossero limitate alle foreste mediterranee del Levante, praticamente alle porte dell’Africa.

La scoperta del sito di Al Wusta dimostra invece che le migrazioni fuori dal continente africano non furono affatto limitate e naturalmente produssero un numero di diffusioni più ampio di quanto si sia presunto.

I risultati, pubblicati su Nature Ecology and Evolution, descrivono in dettaglio la scoperta fatta nel sito di Al Wusta, un antico lago d’acqua dolce situato in quello che oggi è l’aridissimo deserto del Nefud.

Dal sito sono emersi numerosi fossili di animali, dagli enormi ippopotami alle minuscole lumache di acqua dolce, così come una notevole quantità di attrezzi di pietra fatti dagli esseri umani.

Tra questi ritrovamenti, è balzato all’occhio un fossile ben conservato, piccolo, lungo appena 3,2 centimetri che è stato immediatamente riconosciuto come un osso di un dito umano.

L’osso è stato scansionato in 3D e la sua forma è risultata paragonabile a varie altre ossa delle dita, anch’esse recenti, appartenenti a H. sapiens, esemplari di altre specie di primati e altre forme di ominidi, come i Neanderthal.

Le analisi hanno mostrato in modo esaustivo che l’osso era inequivocabilmente il più antico fossile umano ritrovato in Arabia e che apparteneva indubbiamente alla nostra stessa specie.

Ricorrendo agli isotopi dell’uranio come metodo di datazione, è stato impiegato un laser per creare fori microscopici nel fossile e misurare così i rapporti tra le minuscole tracce di elementi radioattivi.r I rapporti hanno rivelato che il fossile aveva un’età di 88mila anni.

Altre datazioni, effettuate dalle associazioni di animali e di sedimenti, convergevano verso una data ancora più antica, circa 90mila anni.

Ulteriori analisi paleoambientali hanno anche rivelato che il sito era stato un lago d’acqua dolce in un antico ambiente di prateria, molto diverso dai deserti odierni.

L’autore leader dello studio, dr Huw Groucutt, dell’Università di Oxford, coadiuvato dai colleghi dell’Istituto Max Planck per la Scienza della storia umana, afferma: “Questa scoperta mostra incontrovertibilmente per la prima volta che i primi membri della nostra specie non si limitarono affatto al solo Levante, ma colonizzarono una vasta regione dell’Asia sud-occidentale.

La capacità di colonizzazione di queste popolazioni antiche mette seriamente in dubbio le teorie di coloro secondo cui le prime ‘uscite’ dall’Africa erano consistite in sparuti gruppi, i cui membri non si erano avventurati sui nuovi territori”.

Il prof. Michael Petraglia dell’Istituto Max Planck, aggiunge: “La penicsola arabica è stata per molto tempo considerata lontana dal palcoscenico principale dell’evoluzione umana. Questa scoperta rivaluta quella terra, restituendole un ruolo chiave per capire le nostre origini e la nostra espansione nel resto del mondo. Mentre continua il lavoro sul campo, in Arabia Saudita noi continuiamo a fare scoperte straordinarie”.

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