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Cranio di 55mila anni fa colma lacuna nella migrazione dei Sapiens dall’Africa

Scritto da Leonardo Debbia il 05.02.2015

La scoperta nel Nord di Israele di un cranio parziale risalente a 55mila anni fa fornisce nuove informazioni sulla migrazione degli esseri umani moderni dall’Africa.

I risultati della scoperta sono stati riportati sulla rivista Nature di questa settimana da un team internazionale composto da ricercatori israeliani, nordamericani ed europei.

Un evento chiave dell’evoluzione umana è stata l’espansione dell’uomo moderno di origine africana in tutta l’Eurasia.

Homo sapiens – è di lui che si parla – andò a sostituire gradualmente ogni altra forma di ominide al di fuori dell’Africa, intorno ai 50-60mila anni fa.

Tuttavia, a causa della scarsità di resti fossili umani di quel periodo, questi lontani antenati di tutte le popolazioni odierne non africane sono in gran parte avvolti nel mistero.

Interno della grotta Manot in Galilea, Israele, dove un cranio di 55mila anni fa getta una nuova luce sui modelli di migrazione umana (crediti: Amos Frumkin / Hebrew University Cave)

Interno della grotta Manot in Galilea, Israele, dove un cranio di 55mila anni fa getta una nuova luce sui modelli di migrazione umana (crediti: Amos Frumkin / Hebrew University Cave)

Cerchiamo di essere più precisi.

Se da un verso, esistono reperti fossili che dimostrano che alcuni gruppi anatomicamente moderni raggiunsero il cosiddetto ‘corridoio levantino’, l’attuale Medio Oriente, attorno ai 100mila anni fa, di contro, le analisi genetiche indicano che le attuali popolazioni non africane discendono da un singolo gruppo migrato dall’Africa attorno ai 60-70mila anni fa.

Perché questo vuoto di oltre 30mila anni?

La recente scoperta fatta in Israele potrebbe dare una risposta assolutamente convincente.

I ricercatori descrivono, infatti, un cranio parziale risalente a circa 55mila anni fa, rinvenuto in Israele, nella grotta Manot, situata nella Galilea occidentale.

La grotta Manot fu scoperta nel 2008 durante alcuni lavori di costruzione da parte di alcuni operai edili, che avevano danneggiato la volta della grotta con un bulldozer, rivelando una vera e propria ‘capsula del tempo’.

Di fatto, frane e stalagmiti avevano sigillato l’apertura della grotta per almeno 15mila anni.

Il Cave Research Center dell’Università Ebraica di Gerusalemme, condusse allora un sondaggio iniziale della grotta, riportando alla luce dei resti archeologici.

Ora, il prof. Israel Hershkovitz, dell’Università di Tel Aviv, ha condotto lo studio antropologico di un cranio, rinvenuto durante gli scavi effettuati dallo studioso assieme agli antropologi Ofer Marder, dell’Università Ben-Gurion e al dr Omry Barzilai, della Israel Antiquities Authority.

Il cranio presenta una distinta protuberanza, definita ‘a forma di panino’, posta sull’estremità della regione occipitale, ricordando, nella forma, i moderni crani africani ed europei, ma differenziandosi da altri esseri umani anatomicamente moderni del Medio Oriente.

Questo suggerisce che gli individui della grotta Manot potrebbero essere strettamente correlati con i primi esseri umani moderni e con i neanderthaliani che popolavano il Levante meridionale durante il Pleistocene superiore, molto vicini al momento della probabile ibridazione tra Sapiens e Neanderthal.

Questa scoperta rappresenta la prima prova fossile del periodo in cui i modelli genetici e archeologici collocano la migrazione degli esseri umani moderni dall’Africa e la loro colonizzazione dell’Eurasia e al tempo stesso rappresenta anche la prima prova fossile che nel Tardo Paleolitico medio, il Levante fosse occupato non solo dai Neanderthal, ma anche dai Sapiens.

I ricercatori ipotizzano che la popolazione di appartenenza del cranio era sicuramente migrata da poco dall’Africa e si era fermata nel ‘corridoio levantino’ per un arco di tempo abbastanza lungo, probabilmente sfavorevole al proseguimento della diffusione verso altri siti a causa di eventi climatici avversi, caldi e umidi, che interessarono il Sahara del Nord e il Mediterraneo.

Con questa scoperta e l’ipotesi prospettata, verrebbe a colmarsi quel vuoto di 30mila anni che finora era rimasto alquanto enigmatico.

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