Il CNR ha condotto una ricerca sulle cause delle cosiddette primavere arabe che sostiene che non derivano dalla crisi economica globale: i due fenomeni avrebbero infatti radici diverse. Sono diverse infatti le teorie che spiegavano le rivoluzioni avvenuti in questi paesi: fra queste una ipotizzava che le cause delle rivoluzioni potessere essere fatte risalire a fattori economici.
Il ‘Rapporto sulle economie del Mediterraneo’ curato dall’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Issm-Cnr) è giunto quest’anno all’ottava edizione.
Paolo Malanima direttore dell’Issm-Cnr, a proposito delle rivoluzioni ha dichiarato: “Non vi è coincidenza fra le aree della sponda sud-orientale del Mediterraneo in cui le rivolte si sono verificate e gli effetti negativi della crisi economica globale. Nei paesi dell’Africa settentrionale e del vicino Oriente, infatti, i tassi di crescita, pur ridottisi rispetto agli anni immediatamente precedenti il 2008, sono tuttavia rimasti positivi e superiori al 2 per cento nel 2009 e addirittura al 4 nel 2010. La crisi del debito pubblico riguarda, più i paesi nord-mediterranei, che quelli della riva sud-orientale, e anche l’inflazione, più volte citata come causa delle insurrezioni, in nessuno di questi paesi si è allontanata dalle medie calcolate nell’anno precedente alle rivolte, in Egitto era al 10 per cento, al 4 in Algeria e Tunisia e addirittura inferiore all’1 per cento in Marocco”.
Secondo i ricercatori Tunisia, Algeria ed Egitto dopo gli anni Ottanta, avevano avviato diverse riforme che avevano tenuto alto il valore dell’economia, ma non erano riuscite ad evitare che si creassero forti disparità fr ai cittadini.
“Molti paesi del Nord Africa hanno conosciuto nell’ultimo decennio notevoli progressi economici, di cui però ha beneficiato solo un’esigua minoranza”, precisa il direttore dell’Issm-Cnr, “la forbice poi è particolarmente evidente se ci si sposta dalle zone costiere a quelle interne. Oltre il 10 per cento della popolazione in Libia, Siria ed Egitto ha un reddito pro capite inferiore al 60 per cento del reddito medio, e la disoccupazione si attesta attorno ad un livello del 10 per cento”. Questi dati forniscono senza dubbio un’immagine attendibile del disagio sociale, ragione di fondo delle rivoluzioni arabe.
Non ci sono dubbi, invece, sulla relazione inversa, quella fra trasformazione politica e conseguenze economiche. “Alle economie coinvolte, le rivoluzioni sono costate 75 miliardi di dollari, cioè fra il 15 e il 20 per cento del Pil dei quattro paesi più colpiti dalle rivolte. Inoltre nel breve periodo si prevede un arresto della crescita in Tunisia, un modesto progresso in Egitto e una caduta in Siria e Libia, dove le esportazioni di petrolio sono precipitate del 40 per cento alla fine del 2011. Le situazioni ancora incerte in questi paesi, tuttavia, rendono difficile l’azzardare pronostici, ma occorrerà modernizzare le istituzioni economiche e favorire competitività e dinamismo, indipendentemente dal colore politico o religioso del potere che vi si consoliderà”, conclude Malanima.