E’ finalmente possibile misurare la rotazione dei buchi neri grazie ad una nuova proprietà delle onde elettromagnetiche, la vorticità. La luce, ma anche le onde radio, gli ultravioletti e gli infrarossi, fanno tutti parte delle cosiddette onde elettromagnetiche, scoperte nell’Ottocento e che hanno rivoluzionato il mondo in cui viviamo. Oggi, quando nessuno pensava che ci fosse qualcos’altro da capire di questa forma di energia, un team internazionale di astronomi guidato da Fabrizio Tamburini, dell’Università di Padova, ha scoperto che i buchi neri rotanti lasciano il loro segno sulla radiazione elettromagnetica che li attraversa. In pratica, imprimono una proprietà di “spin” o rotazione alla luce rilevabile dai telescopi più sensibili che oggi siamo in grado di costruire. La scoperta è valsa la pubblicazione dell’articolo sulla prestigiosa rivista Nature Physics.
Einstein descrisse gli effetti di un buco nero rotante già nelle sue equazioni della relatività, che descrivevano come – in linea teorica – questo densissimo ammasso di materia potesse distorcere lo spazio-tempo intorno a sé. Poiché lo spazio e il tempo vengono deformati dall’enorme campo gravitazionale, il buco nero crea una specie di vortice (non è un vortice nello spazio a tre dimensioni, ma convolge anche il tempo. Secondo i calcoli, quando le onde elettromagnetiche, tra le quali è compresa anche la luce visibile, passano attraverso questa deformazione vorticosa dello spazio-tempo, subiscono una modifica: il vortice spazio-temporale imprime alle onde una sorta di torsione, una “vorticità”. Così la radiazione elettromagnetica che passa attraverso uno di questi vortici, senza superare la linea di confine oltre la quale nulla più sfugge all’attrazione del buco nero (il cosiddetto orizzonte degli eventi), acquisisce questa ulteriore proprietà che va ad aggiungersi a quelle già conosciute come la frequenza e la polarizzazione.
Tamburini, che ha guidato il gruppo di ricerca, ha detto: “Stavamo cercando proprio questo effetto e abbiamo scoperto che i buchi neri rotanti inducono la cosiddetta rotazione di Faraday gravitazionale, ma generano anche questo effetto, la vorticità.”
Un altro membro del gruppo, Molina-Terriza, sottolinea: “Tutti noi siamo stati coinvolti in un modo o nell’altro nella misurazione della vorticità della luce, come nella tecnica di imaging digitale della spirale sviluppata da Lluis Torner a ICFO a Barcellona. Con questa scoperta potremo sviluppare nuovi strumenti per gli astronomi e gli astrofisici.”
La rilevazione della torsione nelle radiazioni elettromagnetiche richiede che i segnali ricevuti vengano processati in modo specifico. In ottica, questo può essere fatto con particolari lenti a spirale, ologrammi e interferometri. In radiotecnica, questo si fa con schiere di antenne, come il grande radiotelescopio LOFAR, che è in costruzione in Europa.
Professor Bo Thidé commenta: “Abbiamo recentemente dimostrato sperimentalmente come la vorticità può essere facilmente impressa su onde radio a bassa frequenza e inviate molto lontano. Ciò apre la possibilità di lavorare con fotoni a bassa frequenza in modo da consentire l’uso di antenne e dell’elaborazione digitale del segnale, permettendo così la sperimentazione controllata da software e osservazioni dello spazio in modi che non sarebbero possibili con altri mezzi “.
Il lavoro svolto dal gruppo rivela anche un aspetto curioso, come ha dichiarato Tamburini all’INAF: “Il nostro non è solo un lavoro teorico ma anche fisico. Ad esempio abbiamo modificato dei paraboloidi in acciaio piegandoli a martellate. Non è un lavoro tipico di un fisico teorico però è divertente avere delle idee, sviluppare equazioni e alla fine vedere i risultati prendere forma in modo concreto nelle proprie mani”.
Le ricadute potrebbero essere enormi anche nella tecnologia di tutti i giorni. Infatti, oltre alla lunghezza d’onda la luce possiede anche un’altra proprietà – appunto la vorticità – che ora potrebbe essere sfruttata nel campo delle telecomunicazioni. Ma che ne sarà del futuro della ricerca? “Spero di rimanere in Italia ma sarà difficile. Non è un problema legato all’Università ma ai bassissimi investimenti che ci sono nella ricerca qui in Italia. Purtroppo non siamo né calciatori né veline”, afferma Tamburini.