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Gli schiavi invisibili dell’antica Pompei

Scritto da Leonardo Debbia il 02.10.2013

Si chiamava Amica. L’impronta del suo piede è rimasta impressa su una tegola in terracotta di un antico tempio della Pompei romana. E’ raro trovare una tegola ‘firmata’ da uno schiavo. E Amica era una schiava. 

Secondo Lauren Petersen, docente di Storia dell’Arte presso l’Università del Delaware, specializzata nell’architettura dell’antica Roma e autrice della ricerca, la maggior parte degli schiavi romani è rimasta, infatti, ‘invisibile’ per la storia. 

Lauren Hackworth Petersen tenta di riportare in vita le attività degli schiavi romani nell’antica Pompei  (fonte: Università del Delaware)

Lauren Hackworth Petersen tenta di riportare in vita le attività degli schiavi romani nell’antica Pompei
(fonte: Università del Delaware)

Petersen ha lavorato molto per riportare alla luce la vita degli schiavi di Pompei, attingendo alla letteratura, al diritto, all’arte e passando intere giornate per le antiche strade romane riportate alla luce, immaginando come questa gente potesse aver percorso e svolto il lavoro quotidiano.

Ma chi erano questi schiavi? Da dove venivano? Alcuni erano greci, alcuni italici, altri africani, altri ancora cittadini romani che, per problemi giuridici, potevano essere occupati solo in quell’attività.

Nel 79 d.C. Pompei, che era stata costruita alle pendici del Vesuvio, a seguita della nota eruzione, fu sepolta da una valanga infuocata di aria calda, cenere e lapilli, un fenomeno oggi conosciuto benissimo come ‘nube ardente’, evento tipico di quel genere di attività vulcanica di tipo esplosivo. 

Fatto sta che l’intera popolazione venne colpita indistintamente, e pochi si salvarono. 20mila persone furono travolte e la maggior parte morirono. ‘Spettatore’ d’eccezione,  ricordiamo Plinio il Giovane che ha lasciato ai posteri, per mano dello storico Tacito, il suo reportage, praticamente in diretta dell’evento.

Quanti schiavi c’erano in quel tempo a Pompei? Difficile fare un conto, anche se è verosimile che ogni famiglia ne possedesse sei o sette, dice Petersen.

L’identificazione dei resti rinvenuti non aiuta.

Infatti, schiavi e padroni vestivano press’a poco in maniera uguale, con la sola tunica, per cui l’abbigliamento non era indicativo. Solo la toga era riservata ai cives romani, ma per la scarsa praticità, non veniva mai indossata nelle dimore, ville o case che fossero.

“La presenza degli schiavi è più ‘visibile’ nelle leggi, perché si sa che erano visti come una proprietà e come tale se, ad esempio, venivano feriti accidentalmente, il proprietario doveva essere risarcito dal responsabile”.

Naturalmente di questi ultimi, dopo l’eruzione, non sono rimaste tracce visibili, ma un popolo di ‘invisibili’ come gli schiavi dell’antica Pompei, se si osserva bene quello che resta dell’antica città, ha lasciato comunque la sua testimonianza, insegnandoci a vedere anche cose che, in casi analoghi, solitamente non si vedono”, conclude Petersen, che sta lavorando ora alla pubblicazione di un libro sull’argomento, scritto a quattro mani con Sandra Joshel, docente di Storia presso l’Università di Washington.

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