C’era una volta un pianeta coperto da un immenso oceano. Potrebbe iniziare così la nuova storia che un gruppo di scienziati ci racconta oggi, parlando di Marte.
Pare infatti che in un lontano passato un oceano più grande del nostro Atlantico e con molta più acqua di quella presente nel Mare Glaciale Artico abbia coperto il ‘pianeta rosso’ nostro vicino.
A questa conclusione è giunto un team internazionale di scienziati che si sono serviti del Very Large Telescope dell’European Southern Observatory (ESO), assieme alla strumentazione del WM Keck Observatory delle Hawaii e all’Infrared Telescope Facility della NASA per monitorare l’atmosfera del pianeta e studiare le proprietà dell’acqua in varie zone dell’atmosfera marziana per un periodo di sei anni.
Da questa continua osservazione sono poi state ricostruite le nuove mappe della superficie di Marte e sono state tratte le conclusioni.
Come avrebbe potuto apparire Marte 4,3 miliardi di anni fa (crediti: ESO / M. Kommesser, N. Risinger)
Questo è quanto riferito il 4 marzo scorso dalla rivista Science.
Quattro miliardi e passa di anni fa – continuano a raccontare gli scienziati – il giovane Marte avrebbe avuto acqua a sufficienza da poter ricoprire l’intera superficie con uno strato liquido di 140 metri di profondità.
Più probabilmente, però, secondo gli studiosi, quest’acqua si sarebbe accumulata in un unico grande oceano che occupava l’emisfero settentrionale del pianeta e che in alcune aree raggiungeva profondità anche di 1600 metri.
“Siamo giunti a questa stima della quantità d’acqua presente su Marte, determinando la quantità d’acqua andata perduta nello spazio”, afferma Geronimo Villanueva, scienziato del Goddard Space Flight Center della NASA, autore leader della ricerca.
La stima è stata basata sulle osservazioni dettagliate delle due diverse forme con cui l’acqua era presente nell’atmosfera di Marte. Una è la forma più comune, con le molecole formate da due atomi di idrogeno ed uno di ossigeno (H2O). L’altra è meglio nota come acqua semi-pesante (HDO), ed è formata da molecole in cui un atomo di idrogeno viene sostituito da un atomo di deuterio, un isotopo dell’idrogeno, il cui nucleo ha un protone ed un neutrone, risultando quindi più pesante.
Dal momento che le molecole dell’acqua con deuterio sono più pesanti dell’acqua con il solo idrogeno, tendono molto meno a disperdersi nello spazio per evaporazione.
Ne deriva che quanto maggiore è la perdita di acqua dal pianeta, tanto più cresce il rapporto HDO / H2O nell’acqua che rimane.
Utilizzando le strumentazioni prima ricordate, i ricercatori hanno individuato le firme chimiche dei due tipi di acqua e, misurando di quanto sia aumentata la frazione di HDO, hanno potuto determinare la quantità d’acqua andata persa nello spazio e conseguentemente la quantità totale di acqua presente in passato su Marte.
Nello studio, il team ha mappato la distribuzione di H2O e HDO ripetutamente nel corso di sei anni terrestri, pari a circa tre anni di Marte, verificando la quantità globale delle molecole d’acqua esistenti in vari periodi.
I ricercatori hanno concentrato le loro osservazioni particolarmente nelle regioni polari, dato che le calotte polari sono ritenute i più grandi serbatoi d’acqua del pianeta, acqua che avrebbe documentato nei cicli stagionali l’evoluzione della sua presenza da 3,7 miliardi di anni in avanti.
Utilizzando i rapporti tra le molecole di deuterio e di idrogeno presenti oggi su Marte e confrontandoli con i rapporti trovati nelle meteoriti marziane, gli studiosi hanno calcolato che in passato Marte abbia avuto un volume d’acqua pari ad almeno 20 milioni di chilometri cubi.
Esaminando la superficie attuale di Marte, il luogo più probabile per aver potuto contenere un simile volume d’acqua è stato individuato nelle infossate pianure dell’emisfero boreale, dove un vasto oceano avrebbe coperto il 19 per cento della superficie del pianeta; un’ampia distesa d’acqua, paragonata all’Oceano Atlantico, che copre il 17 per cento della superficie terrestre.
“Considerato che Marte ha perso così tanta acqua, si può pensare che sia stato in condizioni ‘umide’ per un periodo più lungo di quanto ritenuto finora”, conclude Michael Mumma, co-autore dello studio. “Questo suggerisce che il pianeta potrebbe essere stato abitabile più a lungo di quanto ritenuto fino ad oggi”.