Diagnosticare un tumore alla prostata con l’aiuto degli amici fedeli dell’uomo, i cani. Di questo si parlerà domani al congresso dall’AURO (associazione urologi italiani).
Un nuovo studio condotto da Gianluigi Taverna dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano), in collaborazione con il tenente colonnello Lorenzo Tidu del Centro militare veterinario dell’Esercito e patrocinato dallo Stato maggiore della Difesa, partirà quest’anno e avrà durata triennale.
Lo scopo è studiare l’affidabilità del metodo che usa l’olfatto dei cani per diagnosticare i tumori alla prostata. Sembra infatti che annusando l’urina dei pazienti i cani siano in grado di rivelare una malattia con una percentuale altissima di successo: il 91%. Perciò lo studio che sta per partire addestrerà cani pastore tedesco allo scopo.
“Il protocollo di ricerca italiano rappresenta, attualmente, la più importante esperienza in ambito diagnostico per il cancro della prostata, e si prevede possa essere completato nell’arco di 3 anni”, stima Taverna, della Sezione di patologia prostatica dell’Unità operativa di urologia dell’Istituto Humanitas diretta da Pierpaolo Graziotti, neo-presidente di Auro, che aggiunge: “Negli ospedali è presumibile che non vedremo i cani come ci capita negli aeroporti, ma resta ‘la magia’ che animali, opportunamente addestrati, siano più affidabili di qualsiasi attuale test diagnostico nel identificare un paziente con neoplasia prostatica”.
“Per tale scopo – continua Tidu – verranno impiegati alcuni cani di razza Pastore tedesco nati e allevati al Centro militare veterinario di Grosseto. Attraverso un addestramento basato su sistemi a rinforzo positivo e tramite il clicker training, questi cani saranno in grado di individuare tramite l’olfatto i campioni urinari provenienti da soggetti con tumore prostatico e segnalarli all’addestratore, mentre dovranno ignorare i campioni di controllo, ossia quelli proveniente da uomini sani”. L’urina dei malati “ha un odore particolare e specifico, che cani addestrati sono infatti in grado di percepire e riconoscere – continua Taverna – I primi studi risalgono al 1996, e grazie all’esperienza di diversi ricercatori le osservazioni in tal senso sono oggi solide scientificamente e molto incoraggianti.