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Con il latte, contaminanti chimici dalle foche-madri ai cuccioli

Scritto da Leonardo Debbia il 03.11.2016

Ogni giorno che passa, la fauna selvatica, e in particolare la fauna marina, vengono sempre più esposte ai pericoli derivanti dagli agenti inquinanti immessi nell’ambiente da attività antropiche.

Contaminanti ambientali quali le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), di recente balzati prepotentemente alla cronaca e sui cui effetti i pareri degli studiosi sono tutt’altro che concordi, possono essere trasferiti in alcune specie di mammiferi marini, dalla madre al figlio, attraverso la placenta e il latte materno, esponendo così la prole ai conseguenti rischi prima e dopo la nascita.

I PFAS sono una famiglia di sostanze chimiche prodotte in laboratorio e utilizzate in un certo numero di generi di consumo, sia in gran parte del settore tessile, come tappeti, tende, capi d’abbigliamento, che nel settore alimentare, come piatti di carta, contenitori e imballaggi per alimenti, dal momento che respingono il grasso, non si macchiano, sono idrorepellenti e resistenti al calore.

Da quando è stato scoperto che i PFAS rappresentano un rischio per la fauna selvatica e la salute umana, alcuni di essi sono stati gradualmente messi fuori commercio, ma non sono stati vietati ovunque, nel mondo.

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Neonato di pochi giorni di ‘foca dal cappuccio’ (credit: Kit Kovacs, Norvegian Polar Institute)

Uno studio condotto da Randi Gronnestadt, Gro D.Villanger e colleghi ricercatori per conto del Norvegian Polar Istitute, l’Istituzione governativa norvegese per la ricerca scientifica nell’Artico e nell’Antartico, ha preso in esame l’effetto di queste sostanze sulle foche; in particolare sulla ‘foca dal cappuccio’ (Cystophora cristata) e sui suoi cuccioli durante il periodo dell’allattamento.

I risultati dello studio, pubblicati poi su Environmental Toxicology and Chemistry, riportano i risultati delle analisi effettuate sulle foche di West Ice, un’area appena ad est della Groenlandia.

Le foche dal cappuccio sono particolarmente vulnerabili all’esposizione ai PFAS, facendo parte dei predatori marini che si nutrono non solo di altri pesci, ma anche di stelle marine, polpi, calamari e un po’ di tutto quello che riescono a trovare in mare.

Un comportamento del genere fa sì che la concentrazione di contaminanti persistenti aumenti ad ogni livello della catena alimentare.

Questi mammiferi marini sono particolarmente adatti per questo studio anche perchè la fase dell’allattamento è limitata a 3-4 giorni e in questo periodo i cuccioli non si nutrono di altro cibo che di latte materno.

Da sottolineare che il latte delle foche dal cappuccio, per il suo contenuto del 60-70 % di lipidi, è estremamente ricco di sostanze energetiche e i PFAS tendono a legarsi alle proteine ed ai lipidi.

PFAS sono stati trovati sia nel plasma che nel latte di tutte le foche madri esaminate, nonchè nei rispettivi cuccioli.

Mentre i valori delle concentrazioni sono risultati contenuti entro la gamma dei livelli analizzati in altre foche, gli effetti sulla crescita individuale nella fauna selvatica non sono ancora pienamente compresi.

Resta il fatto che gli effetti dei PFAS sulla crescita dei cuccioli possono essere resi visibili dal peso ridotto alla nascita.

Ora, le foche dal cappuccio necessitano di un aumento notevole di peso per i 3-4 giorni dell’allattamento, perché venga garantita la sopravvivenza della prole nel lungo periodo di digiuno che segue.

Questo dato, quindi, unito al fatto che i giovani mammiferi sono più sensibili agli effetti tossici rispetto agli adulti, potrebbe rivelarsi, alla lunga, molto dannoso per questa specie.

I ricercatori norvegesi si aspettano che lo studio possa trovare ulteriori conferme dall’esame di altre specie che magari condividano habitat simili.

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