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Isole australiane remote e inquinamento dai rifiuti plastici

Scritto da Leonardo Debbia il 08.07.2019

Le Isole Cocos  (o Isole Keeling) comprendono due atolli e 27 isole coralline, territorialmente appartenenti all’Australia, che si trovano nell’Oceano Indiano, a mezza strada tra l’Australia e lo Sri Lanka.

Dopo l’annessione dell’arcipelago alla Corona inglese, nel 1825, i britannici intesero popolarlo e favorirono l’integrazione di gruppi di nativi con gruppi di malesi, fatti immigrati ad arte su quelle isole, e con la fondazione della capitale, West Island, incrementarono nel tempo il numero degli abitanti portandoli fino a poco più dei 500 attualmente residenti.

La posizione geografica e il clima tropicale dettero impulso poi al turismo che resta l’attrattiva principale del luogo, anche se le isole abitate sono solo due: la West Island, popolata da soli europei e Home Island, dove vive una comunità indigena malese.

Un aeroporto collega con due voli settimanali queste isole all’Australia e la permanenza in quella sorta di remoti paradisi tropicali sarebbe invidiabile se…se non si fosse frapposto un ostacolo enorme quanto probematico: l’inquinamento del mare, soprattutto dovuto all’immane accumulo di detriti plastici di provenienza eterogenea.

Inquinamento degli oceani da rifiuti plastici

Inquinamento degli oceani da rifiuti plastici

 

Una recente indagine sull’inquinamento plastico in queste isole australiane ha infatti rivelato che le spiagge sono invase da ben 414 milioni di frammenti di detriti plastici.

Lo studio, condotto dalla dottoressa Jennifer Lavers, ricercatrice dell’Institute for Marine and Antarctic Studies (IMAS) e pubblicato sulla rivista Scientific Report, ha stimato che le spiagge dell’intero Oceano Indiano siano disseminate di 238 tonnellate di plastica, incluse 977mila scarpe e 373mila spazzolini da denti.

Le ricerche della Lavers sono state messe in risalto nel maggio del 2017, quando fu annunciata la scoperta, sulle spiagge dell’isola di Henderson, nel Sud Pacifico, della più alta densità di detriti plastici di tutto il globo.

Le isole remote, secondo la Lavers, dove queste enormi quantità di rifiuti plastici non sono certo attribuibili alla bassissima densità delle popolazioni locali, sono un indicatore determinante della quantità di detriti che circolano attualmente negli oceani della Terra.

“Queste isole (Cocos e Henderson) sono da paragonarsi ai canarini che venivano usati nelle miniere di carbone per rilevare la presenza di gas tossici. E’ evidente l’urgenza dell’allarme trasmesso e degli ammonimenti su ciò che ci prospetta il futuro”, dice Lavers. “L’inquinamento plastico è ormai presente ovunque, nei nostri oceani, e le isole remote sono il luogo ideale per avere una visione quanto più chiara e obiettiva del volume di plastica che circola sul pianeta.

“La stima di 414 milioni di pezzi, del peso complessivo di circa 238 tonnellate, su Cocos è approssimata per difetto, perchè sono stati considerati solo i rifiuti galleggianti fino a 10 centimetri di profondità; e alcune spiagge, ritenute ‘punti caldi’ per i detriti, punti, cioè, di maggiore accumulo, non sono state neppure prese in considerazione, in quanto difficilmente accessibili.

“A differenza dell’isola di Henderson , dove i rifiuti sono per lo più legati alla pesca locale, la plastica su Cocos è di indubbia provenienza dai paesi cosiddetti civili, dove abbondano i consumi monouso: tappi, cannucce, scarpe, infradito, bottiglie e sacchetti.

I dati, già di per sé drammatici, diventano seriamente allarmanti, secondo Annette Finger, ecologa della Victoria University di Melbourne, co-autrice dello studio, quando si pensi che 12,7 milioni di tonnellate di plastica sono andati ad incrementare questa gigantesca montagna di spazzatura nel solo anno 2010, e che questo apporto è pari al 40% della plastica finita nei rifiuti nello stesso anno in cui è stata prodotta.

“Come risultato della crescita delle materie plastiche monouso, si stima che attualmente ci siano 5,25 miliardi di frammenti di detriti di plastica negli oceani terrestri”, afferma la Finger.

“L’inquinamento plastico è una minaccia documentata, sia per la fauna marina che per la salute umana.

“Ma la variabile più grave del problema è che la pulizia dei nostri mari è giudicata oramai impossibile. Dispendiosa in termini di tempo, troppo costosa in termini economici, la ripulitura dei mari dalla plastica, a questo punto, è divenuta un miraggio.

“L’unica soluzione praticabile è adesso la riduzione drastica del consumo di plastica o, meglio ancora, la sua totale messa al bando, cercando di migliorare contemporaneamente la gestione del trattamento dei rifiuti che entrano negli oceani” avverte la Finger.

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