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Impatto globale dei rifiuti plastici sulla vita nei mari

Scritto da Leonardo Debbia il 24.02.2015

Quanti rifiuti, tra bottiglie, giocattoli, involucri e confezioni di ogni tipo, abbandonati sulle spiagge o trasportati dai corsi d’acqua, finiscono ogni anno nei mari di tutto il mondo?

Finora, si era sempre parlato di una massa ingente, significativamente impressionante; ma, al di là di questa valutazione approssimativa, non erano mai state calcolate le quantità effettive.

Ora, Jenna Jambeck, ricercatrice del Centro Nazionale per l’Analisi Ecologica presso l’Università della Georgia, in team con altri ricercatori, ha quantificato questa produzione incontrollata.

I risultati della ricerca sono stati resi noti sulla rivista Science del 13 febbraio scorso.

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Dalla ricerca svolta è emerso che, solo nel 2010, 192 paesi costieri hanno prodotto 275 milioni di tonnellate di plastica, una parte della quale è entrata nell’oceano sotto forma di rifiuti, per un peso complessivo compreso tra 4,8 e 12,7 milioni di tonnellate.

I detriti di plastica vanno a depositarsi sui fondali oceanici o galleggiano sulla superficie marina, con conseguenze gravi per l’ambiente.

Dalle analisi, è risultato che questo inquinamento è frutto di errori e pressappochismo nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti. Basti pensare che dei 275 milioni di rifiuti considerati, 99,5 milioni di tonnellate provengono da Paesi che distano meno di 50 chilometri dalle coste.

Se questo vale per il presente, le proiezioni per i prossimi decenni non sono incoraggianti.

Secondo lo studio, nel 2025 l’accumulo di detriti plastici salirà a 155 milioni di tonnellate e, al momento, non si prevede che questo trend possa subire un’inversione di marcia.

In un secondo studio riguardo l’impatto dei rifiuti delle attività umane, quali plastica o vetro, sull’ambiente marino, alcuni ricercatori britannici ritengono che circa 700 specie di animali marini siano stati interessati in qualche modo dalla presenza di questa ‘spazzatura’ in mare.

I ricercatori dell’Università di Plymouth, esaminando rapporti pervenuti da tutto il mondo, hanno calcolato che qualcosa come 44mila, tra specie animali e organismi marini di vario genere, siano rimasti o intrappolati nelle isole di detriti o abbiano ingerito rifiuti plastici.

La plastica è infatti la materia inquinante presente nel 92 per cento dei casi esaminati.

E’ stato sottolineato inoltre che nella Lista Rossa dell’ IUCN è considerato a rischio il 17 per cento di tutte le specie coinvolte, in particolare la foca monaca hawaiana, la tartaruga Caretta e lo shearwater fuligginoso (o berta maggiore), un uccello marino dei Procellaridii.

La Lista Rossa – è risaputo – è il più ampio database di informazioni sullo stato di conservazione delle specie animali e vegetali di tutto il mondo, che monitora in modo particolare le specie a rischio estinzione.

Nell’articolo ‘L’impatto dei detriti sulla vita marina’, pubblicato sul Marine Pollution Bulletin, la ricercatrice Sarah Gall e il prof. Richard Thompson, entrambi della School of Marine Science and Engineering presso l’Università di Plymouth, producono le prove, raccolte da una grande varietà di fonti, su casi di accumulo di rifiuti in superficie o di ingestione da parte degli organismi marini, con conseguenti danni fisici per gli ecosistemi delle aree inquinate.

“L’impatto sulla vita marina è particolarmente preoccupante e gli effetti possono essere molto estesi, sia per il pericolo di finire intrappolati nel ciarpame, sia che per il possibile ingerimento, in entrambi i casi con esiti fatali o comunque nocivi”, afferma Sarah Gall. “I dati della letteratura in proposito sono registrati solo dal 1960 in avanti, ma con decessi ben documentati di uccelli, tartarughe, pesci e mammiferi marini”.

Si è scoperto che ad oggi, in totale, ammontano a 693 le specie che sappiamo per certo essersi imbattute in ogni genere di detriti, con circa 400 ‘incontri’, tra casi di intrappolamento e di ingestione.

Questi eventi si sono verificati un po’ ovunque nel mondo, ma sono segnalati più frequenti al largo delle coste asiatiche, su quelle nord-americane, in Australia e in Europa.

Le maggiori cause di impedimento ai movimenti animali in superficie sono state individuate in corde di plastica e in reti, che hanno interessato un elevato numero di balene settentrionali, tartarughe marine delle specie caretta e imbricata (o Hawksbill) e uccelli marini quali i fulmari settentrionali, volatili simili alle procellarie.

Tra le specie coinvolte nell’ingestione di frammenti di plastica sono state trovate invece soprattutto tartarughe verdi, foche (leone marino della California), uccelli sia piccoli (pulcinella di mare dell’Atlantico) che più grandi Procellariiformes (albatros e berta maggiore).

“Abbiamo scoperto che tutte le specie conosciute di tartarughe marine e più della metà di tutte le specie di mammiferi e uccelli marini si erano imbattuti in detriti plastici marini e questo numero è andato aumentando”, ha detto Sarah. “In quasi l’80 per cento dei casi, questi eventi avevano provocato danni diretti o la morte degli animali”.

Gli autori dicono che, mentre solo il quattro per cento dei casi di ingestione pareva avessero causato danni, sarebbe stata necessaria un’ulteriore analisi degli impatti sub-letali, prestando attenzione agli effetti sul metabolismo e sulla riproduzione.

Il prof. Thompson, riconosciuto come uno dei maggiori esperti mondiali di microplastiche in mare, ha dichiarato: “Gli incontri con i rifiuti marini sono di particolare interesse per le specie segnalate a rischio, le più vulnerabili, o ritenute in pericolo di estinzione nella Lista Rossa IUCN, perchè questi detriti debbono essere considerati come un pericolo che potrebbe contribuire alla potenziale estinzione delle specie”.

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