Un solo squalo della barriera corallina può contribuire per almeno due milioni di dollari all’economia di Palau, un’isola dell’Oceano Pacifico. Lo rivela un nuovo studio dell’Istituto Australiano per le Scienze Marine e dell’Università dell’Australia. L’analisi ha quantificato i benefici economici dell’industria dello “shark-diving”, le immersioni dei turisti per poter osservare questi animali dal vivo nel loro habitat naturale, la barriera corallina. Lo studio ha anche rivelato il guadagno che un pescatore riesce a ricavare da uno squalo morto, le cui pinne sono una inutile prelibatezza in molti paesi orientali: un centinaio di dollari.
“Gli squali possono letteralmente essere considerati degli ‘animali da un milione di dollari’, in quanto essi danno un significativo contributo all’economia,” ha detto Mark Meekan, il ricercatore principale presso l’AIMS. “A causa del basso tasso di riproduzione e la loro tarda maturità, gli squali sono in pericolo a causa della pesca. Ora la nostra ricerca mostra che questi animali possono contribuire molto di più alle economie se lasciati vivere piuttosto che pescati.”
Palau è il più giovane Stato ad aver ottenuto l’indipendenza e ad essere riconosciuto dall’Onu. Esso si è dichiarato indipendente dagli Stati Uniti solo nel 1994. Con una popolazione di poche decine di migliaia di persone, queste isole situate a circa 500 chilometri ad est delle Filippine vivono principalmente di pesca, agricultura di sussistenza e soprattutto di turismo. Il valore annuale stimato degli squali della barriera corallina per dell’industria turistica locale è di ben 179.000 dollari. Se si stima in circa dieci anni la vita media di questo squalo, durante la sua intera vita esso “vale” 1,9 milioni di dollari.
Ogni anno le immersioni nella barriera per vedere il predatore porta circa 18 milioni di dollari all’economia di Palau, circa l’8% del PIL dello stato. Le tasse annuali pagate dai lavoratori del settore delle immersioni ammontano a 1,2 milioni di dollari, circa il 14 percento di tutte le tasse dello stato.
Ogni anno, oltre 73 milioni di squali vengono uccisi per le loro pinne, usate in un piatto tipico delle regioni asiatiche, la zuppa di pinne di pescecane.
Gli stati insulari dell’Oceano Pacifico sono stati i primi a rendersi conto delle conseguenze della pesca selvaggia, che è insostenibile per i ritmi biologici di questo pesce. Lo squalo infatti raggiunge la maturità sessuale molto tardi e le femmine riescono ad allevare solo pochi piccoli. Nel 2009 il presidente del giovane stato, Johnson Toribiong, ha dichiarato le acqua di Palau un santuario per gli squali in un suo discorso alle Nazioni Unite. Da allora, anche lo Stato USA delle Hawaii, i territori di Guam e le Isole Mariane del Nord hanno bandito la caccia agli squali, oltre che la vendita e la distribuzione di pinne di pescecane.
“Il turismo legato agli squali può essere un ottimo motore per la loro protezione,” ha detto Matt Rand, il direttore del Global Shark Conservation del Pew Environment Group, che ha commissionato la ricerca. “La pesca eccessiva degli squali può avere effetti disastrosi sugli ecosistemi marini, ma questo studio fornisce un’ulteriore urgente motivo per convincere ancora più nazioni a vietare la pesca degli squali, per proteggere questi animali e il benessere dei paesi che vivono col turismo.”
E Palau non è un caso isolato. Il turismo connesso alla vita degli squali ha contribuito per più di 800 milioni di dollari per l’economia delle Bahamas. Nel solo 2003, le immersioni per osservare lo squalo balena in Thailandia hanno generato circa 110 milioni di dollari. Nel 2006, fino al 25 per cento delle spese di viaggio da parte dei visitatori della Grande Barriera Corallina dell’Australia erano dovute all’osservazione degli squali.