L’intrinseca capacità del cervello di autoproteggersi dai danni è ben nota da tempo, ma la causa finora non era mai stata compresa pienamente. In caso di danni ad un’area della corteccia, dovuti ad esempio ad un ictus, il cervello mostra infatti una grande capacità di recuperare, parzialmente o totalmente, le capacità perse. Oggi una ricerca ha finalmente rivelato un meccanismo che può permettere questo fenomeno per la prima volta.
I ricercatori dell’Università di Oxford sperano che sfruttando questo meccanismo biologico intrinseco, identificato nei ratti, si possano aiutare le persone colpite da ictus, oltre che prevenire l’insorgenza di altre malattie neurodegenerative nel prossimo futuro.
“Abbiamo dimostrato per la prima volta che il cervello ha meccanismi che utilizza per proteggersi e mantenere in vita le proprie cellule”, ha detto il professor Alastair Buchan, capo della divisione di Scienze Mediche e Preside della Facoltà di Medicina dell’Università di Oxford, che ha diretto lo studio.
L’ictus è una delle principali cause di morte e disabilità in Italia e in Europa. Nel Regno Unito, dove l’attuale ricerca è basata, ogni anno circa 150.000 persone sono affette da ictus.
L’ictus si verifica quando di interrompe l’afflusso di sangue ad una parte del cervello. Quando accade ciò, le cellule cerebrali sono private di ossigeno e sostanze nutritive di cui hanno bisogno per funzionare correttamente, e cominciano a morire.
“I danni cerebrali iniziano subito dopo l’insorgenza di un ictus. Le cellule iniziano a morire in qualche punto del cervello da pochi minuti a un massimo di 1 o 2 ore dopo l’evento”, ha detto il professor Buchan.
Questo spiega perché il trattamento dell’ictus è così dipendente dalla velocità di intervento. Più velocemente si raggiunge l’ospedale e si riceve una scansione del cervello, prima possono essere somministrati farmaci per sciogliere il coagulo di sangue che molto probabilmente sta otturando un vaso sanguigno, per permettere di nuovo al sangue di irrorare le cellule cerebrali, e meno danni le cellule cerebrali subiranno.
Questo spiega anche la ricerca – finora infruttuosa – di farmaci ‘neuroprotettivi’, che proteggano cioè le cellule in attesa che il sangue torni a fluire con l’ossigeno e le sostanze nutritive.
Il gruppo di ricerca della Oxford University hanno ora identificato il primo esempio di un meccanismo già insito nel cervello in grado di proteggere le cellule, integrato in qualche nodo nello stesso tessuto cerebrale, e chiamato per questo ‘neuroprotezione endogena’.
La scoperta in realtà ha già qualche anno: la prima osservazione del fenomeno risale addirittura a 85 anni fa. È noto infatti già dal 1926 che i neuroni in una zona dell’ippocampo, la parte del cervello che controlla la memoria, sono in grado di sopravvivere ad un’ipossia, mentre altri in una diversa area dell’ippocampo muoiono. Ma cosa protegge un insieme di cellule dai danni? Finora la spiegazione era rimasta un enigma.
“Gli studi precedenti si sono concentrati sulla comprensione di come le cellule muoiono dopo essere state impoverite di ossigeno e glucosio. Noi abbiamo preso in considerazione un approccio più diretto, indagando i meccanismi endogeni che si sono evoluti per rendere queste particolari cellule dell’ippocampo più resistenti all’ictus”, spiega il primo autore della ricerca, il dottor Michalis Papadakis, Direttore Scientifico del Laboratorio di ischemia cerebrale dell’Università di Oxford.
Lavorando coi ratti, i ricercatori hanno scoperto che la produzione di una specifica proteina chiamata amartina (hamartin in inglese) ha permesso alle cellule di sopravvivere in carenza di ossigeno e glucosio, come avverrebbe dopo un ictus.
Essi hanno anche dimostrato che i neuroni muoiono nella zona ‘sfortunata’ dell’ippocampo a causa di una mancanza prorio di amartina.
La squadra è stata quindi in grado di dimostrare che stimolare la produzione di amartina offre una maggiore protezione per i neuroni.
Il professor Buchan ha dichiarato: “Questo fenomeno è correlato in maniera causale alla sopravvivenza delle cellule. Se blocchiamo l’amartina, i neuroni muoiono quando il flusso di sangue viene interrotto. Se forniamo l’amartina, le cellule sopravvivono.”
Infine, i ricercatori sono stati in grado di identificare il percorso biologico attraverso il quale l’amartina agisce per aiutare le cellule nervose ad affrontare i danni quando sono affamati di energia e ossigeno.
Il gruppo di ricerca sottolinea che conoscere il meccanismo naturale biologico che porta alla neuroprotezione apre la possibilità di sviluppare farmaci che mimino gli effetti dell’amartina.
Il professor Buchan ha dettp: “C’è una grande quantità di lavoro da fare se questo si tradurrà in clinica, ma per ora abbiamo finalmente una strategia neuroprotettiva per la prima volta nella storia. Il nostro prossimo passo sarà quello di vedere se riusciamo a trovare molecole che imitano ciò che fa l’amartina per mantenere in vita le cellule cerebrali.
I ricercatori hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista Nature Medicine e sono stati finanziati dal Medical Research Council britannico e dall’Istituto Nazionale per la Ricerca Sanitaria.
il mio commento è una domanda:
se anche riuscissimo a produrre sinteticamente la molecola dell’amartina,come potremmo adoperarla,come prevenzione?