Torna alla ribalta il dibattito sul metodo Zamboni per la cura della sclerosi multipla. Paolo Zamboni, ricercatore e angiologo, sostiene che un intervento di angioplastica che aiuti a dilatare le vene del collo possa aiutare a risolvere un patologia chiamata Insufficienza venosa cronica cerebro-spinale (Ccsvi) che sarebbe in connessione con la Sclerosi Multipla. Due studi sul metodo Zamboni, presentati a Lione al 28esimo congresso del Comitato europeo per il trattamento e la ricerca nella sclerosi multipla (Ectrims), portano però risultati contraddittori.
Resta aperta la discussione sull’effettiva efficacia del cosiddetto “metodo Zamboni” contro la Sclerosi multipla. Due studi presentati a Lione all’Ectrims, infatti, portano risultati discordanti.
Il primo studio effettuato dallo stesso Zamboni e da colleghi statunitensi e britannici ha coinvolto 15 pazienti. Su tutti quelli che hanno subito l’intervento per la dilatazione delle vene la ricerca sostiene che ci siano stati effetti benefici.
Il secondo studio, effettuato su 462 pazienti è stato condotto dai neurologi Angelo Ghezzi dell’ospedale di Gallarate e Giancarlo Comi dell’Università San Raffaele di Milano. In questo studio solo il 50% di coloro che hanno subito l’intervento hanno riportato effetti benefici, ma secondo gli autori, l’effetto potrebbe essere considerato una sorta di placebo in quanto l’aspettativa rispetto all’intervento è talmente alta che addirittura viene definito da alcuni “liberazione”. In questi casi, secondo gli esperti, l’aspettativa potrebbe essere in grado di modificare la reale riuscita dell’intervento.
Ma quali sono i motivi alla base di questa discrepanza? Il dottor Zamboni in un’intervista ad Avvenire spiega che alla base delle diverse interpretazioni dei risultati delle ricerche sta la diagnosi della Ccsvi che viene effettuata attraverso l’ecodoppler. Questo esame, però, verrebbe interpretato diversamente se eseguito da un neurologo o da un angiologo. Questa la posizione critica di Zamboni che infatti aveva abbandonato lo studio condotto dai neurologi del San Raffaele in fase preliminare proprio per questo vizio diagnostico.
“Il problema è che il sistema più semplice per fare diagnosi è l’ecodoppler, ma è un metodo in cui c’è una grande variabilità di risultati dipendenti dall’operatore, in cui il giudizio deriva da una sua interpretazione sui dati. Avevamo proposto di far effettuare l’esame da un angiologo o un radiologo vascolare, più esperto nella materia; viceversa i neurologi hanno voluto avocare a sé la gestione e hanno fatto fare un programma di formazione per personale neurologico, ma l’esame ecodoppler è molto complesso.” ha dichiarato il medico a Avvenire.it.
Il problema dunque sta nel riconoscere o meno che la Ccsvi riduce lo scorrimento del sangue nelle vene del cervello. Sono attualmente diverse le ricerche in campo, ma il medico ferrarese ci tiene a sottolineare che la sclerosi multipla è una malattia di cui non conosciamo le cause e per la quale non ci sono cure: siamo dunque disposti a limitare le ricerche?