In Perù, dove spicca l’antica città Inca di Machu Picchu insieme a migliaia di antiche rovine, gli archeologi utilizzano sempre più i droni per accelerare i lavori di indagine e proteggere i siti da eventuali predatori, costruttori, minatori o qualunque altra minaccia possa gravare sugli scavi, ma possa però anche essere tempestivamente prevenuta.
Questi piccoli velivoli telecomandati, nati e sviluppati per scopi militari, vengono sempre più utilizzati per progetti civili e commerciali un po’ovunque nel mondo.
Un drone in azione dimostrativa. Progettati principalmente per scopi bellici, vengono ora usati frequentemente per scopi commerciali o civili in genere al posto di esseri umani (Fonte: Wikipedia, MICHEL COMTE/AFP/Getty Images)
Curioso, l’approccio degli archeologi con questa tecnologia.
Steve Wernke, un archeologo della Vanderbilt University, si propose di impiegare questi mezzi dopo aver visto le foto aeree scattate da piloti degli Stati Uniti durante la prima guerra mondiale che avevano permesso di identificare anche siti archeologici.
Poter disporre poi di piccoli velivoli, senza pilota, maneggevoli e di costo contenuto (400-500 dollari), ha fatto il resto.
Gli archeologi peruviani si servono dei droni per la riproduzione di siti tridimensionali, molto più vantaggiosi di quelli tradizionali, a due dimensioni, e anche per i tempi di realizzazione che si riducono a giorni o settimane in luogo di mesi e anni.
Al momento, si stanno recuperando parti di una piramide vicino a Lima che si ritiene sia stata costruita circa 5000 anni fa da una popolazione costiera che venerava il fuoco e che è stata rasa al suolo nel mese di luglio scorso ad opera di alcune imprese di costruzione.
Sempre nello stesso mese, anche gli abitanti di una cittadina vicina alle rovine pre-incaiche di Yanamarca hanno riferito che dei minatori alla ricerca di quarzo avevano danneggiato le preziose strutture in pietra a tre piani.
Allo stesso modo, agricoltori vicini a siti importanti come Chan Chan, sulla costa settentrionale, hanno ripetutamente tentato di sequestrare i terreni per loro uso e consumo.
Tutti questi danni potrebbero essere limitati con l’impiego dei droni, dicono gli archeologi.
“Sono strumenti essenziali per la conservazione dei beni culturali”, ha affermato Ana Maria Hoyle, archeologa del Ministero della Cultura, annunciando che il governo ha già programmato l’acquisto di droni, il cui uso ha già dato i suoi frutti nella mappatura di ampi siti di scavo, con la riduzione dei tempi, se confrontati con l’uso di teodoliti, carte ed escursioni a piedi, che avrebbero richiesto tempi ben superiori.
Il sito di san Josè de Moro, antico luogo di sepolture estese su 150 ettari nel Nordovest del Perù, è stato esplorato in pochi giorni da Luis Jaime Castillo, archeologo dell’Università di Lima.
“E’ come avere un bisturi al posto di un bastone”, ha affermato Jeffrey Quilter, archeologo dell’Università di Harvard. “A tre metri di altezza si può fotografare una stanza; a 300 metri un sito e a 3000 metri tutta una vallata”.
Nello scorso anno almeno sei siti sono stati fotografati per mezzo dei droni, tra cui la città andina di Machu Llacta, a circa 4000 metri di altitudine.
Naturalmente, qualche inconveniente non manca. L’aria rarefatta delle Ande, con il salire in altitudine, può dare problemi di stabilità a questi piccoli velivoli, mentre un altro grosso problema è costituito dalle dimensioni delle batterie, che sono grandi e di breve durata.
C’è, poi, la faccenda della privacy. Negli Stati Uniti, ad esempio, l’uso dei droni è stato limitato proprio per questo motivo, anche se in Perù, al momento, almeno questo problema non c’è.