Nuove analisi di un team di scienziati sudafricani su due individui di Australopithecus Sediba risalenti a quasi 2 milioni di anni fa riscrivono completamente la teoria dell’evoluzione dell’uomo. In particolare lo studio sull’ evoluzione del cervello umano grazie ai raggi X mette in discussione le teorie sul suo sviluppo.
Uno studio pubblicato oggi sulla rivista Science riporta la scansione a raggi X alla più alta risoluzione mai effettuata del cervello di uomo primitivo. La scoperta che deriva da questi dati è paragonabile a un potente faro sul panorama pressoché buio dell’evoluzione del cervello durante la transizione dalla specie Australopithecus a quella Homo.
L’articolo, che è parte di una serie di cinque studi su nuove scoperte che hanno a che fare con diversi aspetti dell’anatomia della specie Australopithecus Sediba (annunciata nell’aprile 2010 da Berger e altri), verrà pubblicato il 9 settembre su Science. Condotto dall’Università del Witwatersrand a Johannesburg in Sudafrica, il progetto ha visto la partecipazione di oltre 80 scienziati provenienti da Germania, Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Sudafrica e Svizzera. Inoltre lo studio include uno scienziato dell’ European Synchroton Radiation Facility (ESRF) di Grenoble in Francia, dove la microtomografia a raggi X è stata effettuata.
Preservatosi in condizioni eccellenti, il cranio di MH1 (un esemplare di Australopithecus sediba rinvenuto nel 2009) è stato sottoposto a scansione con una risoluzione di circa 45 micron, una dimensione persino inferiore a quella di un capello umano. Grazie a una risoluzione così alta, è stato possibile rilevare incredibili dettagli sull’anatomia della volta cranica del sediba.
Secondo il professor Lee Berger della University del Witwatersrand che trovò il fossile nel 2009, “i numerosi particolari rintracciati nel cervello e nel corpo lo rendono l’antenato più plausibile del nostro genere, il genere Homo, scavalcando così precedenti candidati come l’Homo habilis.”
Gli umani hanno un cervello piuttosto grande rispetto alle dimensioni del loro corpo, circa quattro volte quello degli scimpanzé. L’evoluzione del cervello di questo antenato comune a noi e agli scimpanzé testimonia l’incremento radicale delle dimensioni. Comunque, il volume ricostruito del cranio di MH1 è sorprendentemente modesto, pari a 420 cm3, in media solo 40 cm3 più grande di quello degli scimpanzé.
Lo studio su questo cervello evidenzia un sorprendente mix di caratteristiche. La sua forma generale è più assimilabile a quella degli uomini che degli scimpanzé e, considerato il modesto volume, il risultato è coerente ad un modello di elaborazione neurale graduale nella parte anteriore del cervello.
“Una delle nostre più importanti scoperte è che la forma del cervello del Sediba non è compatibile con il modello di accrescimento cerebrale graduale, che era stato ipotizzato precedentemente per la transizione dall’Austrolopithecus alla specie Homo”, aggiunge il dott. Kristian Carlson dell’Università del Witwatersrand, principale autore dell’articolo.
La radiazione di sincrotrone è stata fondamentale per questa ricerca. La forma esterna del cervello si riflette nella superficie più interna del cranio. Effettuando una mappatura dei contorni della superficie interna, si può quindi ottenere l’immagine del cervello originale collocato nel cranio.
Il cranio di MH-1 non è stato comunque svuotato del sostrato dopo la scoperta, e solo i potenti raggi X presso l’ ESRF possono penetrare in profondità il fossile per rivelare la forma interiore del cranio alla risoluzione desiderata. Lasciando il sostrato all’interno del cranio è possibile anche assicurare che la sua delicata superficie interna non venga danneggiata o alterata durante le estrazioni.