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Gusci d’uovo di struzzo per datare antichi siti umani

Scritto da Leonardo Debbia il 16.06.2021

Gli archeologi hanno imparato molto sui nostri antichi antenati rovistando tra i cumuli dei loro rifiuti, immondizia in cui hanno potuto rintracciare prove delle diete seguite e del livello culturale raggiunto dai gruppi umani man mano che la flora e la fauna cambiavano nel tempo.

Scarti di cibo comuni in tutta l’Africa sono, ad esempio, i gusci delle uova di struzzo e questi stanno aiutando ora a mettere in luce i cambiamenti avvenuti, fornendo valide informazioni sulla comparsa e la vita quotidiana di alcune specie di Homo sapiens, che più di 100mila anni fa hanno popolato le coste sudafricane, utilizzando le risorse alimentari fornite loro dal mare.

uova-struzzo

In uno studio recente, i geocronologi dell’Università della California, Berkeley, e del Berkeley Geochronology Center (BGC) hanno sviluppato una tecnica che, applicata a questi scarti, ha consentito di datare con precisione quelle discariche di rifiuti, altrimenti troppo vecchie per essere datate con il radiocarbonio, che viene usato invece per oggetti di età inferiore ai 50mila anni.

In un articolo pubblicato su Proceedings of of the National Academy of Sciences (PNAS), Elizabeth Niespolo, ricercatrice della UC Berkeley, insieme a Warren Sharp, geocronologo del BGC, hanno utilizzato il metodo di datazione uranio-torio su gusci di uova di struzzo per stabilire l’età della spazzatura preistorica rinvenuta nei pressi di Città del Capo, in Sud Africa, che è stata valutata tra i 119mila e i 113mila anni fa.

Il sito, denominato Ysterfontein 1, ha restituito il più antico scheletro conosciuto al mondo e implica che i primi esseri umani si siano ben adattati alla vita costiera attorno ai 120mila anni fa, dal momento che nel sito sono stati rinvenuti tre denti di ominide, forse i più antichi fossili di Homo sapiens trovati nell’Africa meridionale.

Il metodo uranio-torio ha consentito di appurare che il mucchio di conchiglie, cozze, ossa animali e gusci d’uovo, spesso oltre 75 centimetri, si è accumulato in appena 2300 anni.

Il sito non sarebbe databile con il radiocarbonio perchè troppo vecchio”, sostiene la Niespolo, sottolineando che siti simili sono frequenti nelle zone costiere del Sud Africa.

Dato che i gusci d’uovo di struzzo sono presenti in tutti questi siti, questo metodo potrebbe invece essere utilizzato sistematicamente per avere datazioni più accurate e scoprire se hanno la stessa età di Ysterfontein 1 o sono più recenti”, aggiunge la studiosa.

Nonostante i vantaggi qui descritti, tuttavia, questo metodo non è stato ritenuto del tutto attendibile da molti studiosi, i quali sostengono che lo si possa usare solo per gusci d’uovo molto vecchi, fino a 500mila anni di età.

Ysterfontein 1 fa parte di una dozzina di siti sparsi lungo le coste della provincia del Capo Occidentale, vicino a Città del Capo. Scavato nel 2000, è considerato un sito dell’età della pietra medievale, vale a dire il periodo in cui H. sapiens stava sviluppando comportamenti complessi quali la territorialità, la competizione e la cooperazione tra gruppi; probabilmente perchè i gruppi umani stavano passando dalla condizione di cacciatori-raccoglitori a quella stanziale, transizione sicuramente favorita dal contributo alimentare (molluschi, pesci e mammiferi marini) fornito dal mare.

L’incertezza della datazione di queste transizioni, che finora era pari al 10 per cento, è scesa ora al 2-3 per cento grazie ai collegamenti coi cambiamenti climatici globali, allorchè il sito venne occupato subito dopo l’ ultimo interglaciale, quando il livello del mare era 8 metri più alto di oggi e la costa si era ritirata di due miglia, lasciando che si accumulassero molluschi e altra fauna edibile per gli ominidi dell’epoca.

Lo studio mostra che l’accumulo dei resti di conchiglie aumentava mediamente di circa 1 metro ogni 1000 anni, suggerendo così un ampio uso a scopi alimentari da parte delle popolazioni costiere.

Negli ultimi quattro anni Sharp e Niespolo hanno portato avanti gli studi sulle uova di struzzo, partendo dalla constatazione che i gusci appena deposti non contenevano uranio, che viene assorbito solo dopo il seppellimento nel terreno per la schiusa.

E’ pur vero che, al posto delle uova di struzzo, potrebbero essere usate anche le conchiglie, ma la loro struttura di carbonato di calcio (aragonite), sepolta nel terreno, non è stabile come la calcite di cui sono fatte le uova di struzzo oltre al fatto che i gusci trattengono meglio l’uranio durante i primi cento anni.

L’uranio è ideale per la datazione perchè decade ad una velocità costante in isotopo del torio che viene misurato mediante lo spettrometro di massa. Il rapporto tra questo isotopo e l’uranio presente indica da quanto tempo l’uranio è rimasto nel guscio d’uovo.

La datazione dell’uranio si basa sull’uranio-238, l’isotopo dominante in natura, che decade in torio-230.

Sharp e Niespolo hanno utilizzato un laser per aerosolizzare piccole macchie lungo una sezione trasversale del guscio e hanno fatto passare l’aerosol attraverso uno spettrometro di massa per determinare la composizione.

La chiave della tecnica applicata è il fatto che le uova di struzzo non contengono uranio primario ma uranio assorbito dai pori del suolo dove l’uovo è stato effettivamente interrato”, afferma Niespolo, confermando il punto di partenza dello studio.

La collaborazione con Todd Dawson, docente di biologia integrativa alla UC Berkeley è stata infine preziosa perchè sono stati analizzati anche altri isotopi stabili di carbonio, azoto e ossigeno, indicatori di una evoluzione verso un clima più secco e più fresco, coerente con il cambiamento climatico di quel periodo.

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