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I resti di un giovane Homo naledi aiutano a capire come sono cresciuti i nostri antenati

Scritto da Leonardo Debbia il 05.05.2020

Nel 2015 dal sistema di grotte di Rising Star, vicino a Johannesburg, in Sudafrica, venne alla luce una scoperta che rimise in discussione tutto lo scenario in cui si supponeva fosse avvenuta l’origine e l’evoluzione del genere Homo.

Furono rinvenuti, infatti, oltre 1500 fossili umani appartenenti a 15 individui di ambedue i sessi e di età diverse, con caratteri fisici alquanto enigmatici.

La nuova specie fu chiamata Homo naledi. Ad alcuni tratti primitivi, quali un cervello piccolo, (500 cc) si associavano caratteristiche moderne, quali le gambe lunghe, che lo definivano un buon cammminatore su lunghe distanze, oltre che un abile arrampicatore, e la morfologia delle mani per cui poteva esser considerato un creatore di attrezzi.

Ai caratteri fisici si accompagnava poi l’usanza – testimoniata da tracce e resti nella grotta – della sepoltura dei morti, carattere che denotava capacità di pensiero e di sentimenti.

Le età delle ossa, tuttavia, sembravano essere più simili ai primi individui del genere Homo erectus, vecchi di un paio di milioni di anni.

Ma i tratti moderni, le condizioni delle ossa e i successivi esami svolti con le tecnologie più all’avanguardia cancellarono ogni dubbio, suggerendo un’età molto più recente: tra i 335 e i 236mila anni, ossia nel tardo Pleistocene medio.

Si trattava quindi di una specie probabile contemporanea di Homo sapiens.

 

Comparazione tra i crani di diversi tipi di Homo

Comparazione tra i crani di diversi tipi di Homo, da sinistra verso destra: 2,4-1,4 milioni di anni, 1,8-1,3 milioni di anni, 190-54mila aanni e 330-236mila anni fa

Di questa specie, come di altre fossili, si erano recuperati però solo individui adulti. I bambini o gli adolescenti erano troppo frammentati per poterne ricostruire lo sviluppo.

Secondo uno studio, pubblicato all’inizio del mese di aprile sulla rivista ad accesso libero PLOS ONE, uno scheletro parziale di H. naledi rinvenuto di recente, rappresenta un raro caso di un giovane che potrebbe chiarire la crescita e lo sviluppo di questi antichi antenati, consentendo un paragone con lo sviluppo dei Sapiens e degli umani attuali.

L’articolo scaturito dallo studio porta la firma della professoressa Debra Bolter, antropologa del Dipartimento di Scienze sociali e dell’Ambiente presso il Modesto Junior College, in California, nonchè ricercatrice per la University of the Witwatersrand di Johannesburg, in Sudafrica.

Fino ad oggi, sono state condotte molte ricerche sugli ominidi nostri predecessori e lontani antenati umani, ma in realtà si conosce molto poco sulle loro prime fasi di vita, la loro crescita e il loro sviluppo verso la maturità.

Questa assenza di dati lascia un vuoto nella comprensione di come i nostri antichi antenati possano essersi sviluppati fisicamente e intellettivamente da giovani ad adulti e di come possano paragonarsi quindi ai moderni modelli di crescita umana.

In questo studio, la Bolter e i suoi colleghi hanno esaminato i fossili della Dinaledi Chamber, nel Rising Star Cave System. Questo sito è famoso per l’abbondanza e la variabilità di resti di

H. naledi, con individui di ambedue i sessi e di età variabile, che va dai neonati agli adulti.

Questi fossili, come anzidetto, risalgono ai 335-226mila anni fa, affiancandosi forse nel tempo ai primi membri della nostra specie.

Il team ha identificato ossa di braccia e gambe e una mascella parziale come resti di un singolo giovane individuo, designandolo DH7.

Le ossa e i denti di DH7 non sono completamente sviluppati e mostrano una combinazione di schemi di maturità osservati negli umani moderni e nei precedenti ominini.

Si stima che il DH7 sia simile, nella sua fase di sviluppo, agli individui immaturi di altri ominidi fossili di età compresa tra gli 8 e gli 11 anni alla morte.

Gli autori notano tuttavia che se H. naledi avesse avuto un tasso di crescita più lento di quello degli esseri umani moderni, l’età dell’individuo DH7 avrebbe potuto essere più elevata, anche fino a 15 anni.

Sono necessari ulteriori studi per valutare come H. naledi è cresciuto e dove può avvicinarsi all’evoluzione della crescita e dello sviluppo umano.

“Lo scheletro parziale del giovane naledi potrà chiarire se, riguardo il suo sviluppo, questa specie estinta sia più simile all’uomo o più primitiva”, aggiunge Bolter. “I risultati aiutano a ricostruire le pressioni selettive che possono aver influito sul raggiungimento della maturità della nostra stessa specie”.

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