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Scienziato individua prove della grande estinzione del Permiano, quando la vita sulla Terra rischiò di scomparire

Scritto da Redazione di Gaianews.it il 03.11.2010
I trilobiti sono forse le vittime più note della grande estinzione del Permiano

I trilobiti sono forse le vittime più note della grande estinzione del Permiano

Più di 251 milioni di anni fa, alla fine del periodo Permiano, la Terra diventò un pianeta quasi privo di vita. Circa il 90 per cento di tutte le specie viventi scomparve in quella che gli scienziati hanno chiamato la grande morìa (the great dying).

Thomas J. Algeo ha trascorso gran parte dello scorso decennio ad indagare le prove chimiche sepolte nelle rocce che si formarono durante quella estinzione. Il professore di geologia dell’Università di Cincinnati ha lavorato con un team di colleghi per comprendere l’antica catastrofe. Algeo ha presentato i suoi ultimi risultati al meeting annuale della Geological Society of America, dal 31 Ottobre al 3 novembre a Denver, e non ha perso l’occasione per ammonire l’opinione pubblica: il clima del pianeta non è un sistema così stabile come pensiamo.

Il mondo emerso dalla ricerca di Algeo suona orribilmente alieno – un paesaggio devastato, spoglio di vegetazione, segnato dall’erosione e da scrosci di pioggia acida, con enormi “zone morte” negli oceani e gas serra a concentrazioni altissime che portano a temperature elevatissime. Questa era la Terra, 251 milioni di anni fa.

La più nota estinzione da parte del pubblico, quella che riempie i musei di storia naturale di ossa di dinosauri e che è avvenuta tra il Cretaceo e Terziario, 65 milioni di anni fa, innanzitutto è stata meno violenta, tant’è vero che gli uccelli e i mammiferi, già coinquilini dei dinosauri, sopravvissero, e poi è stata innescata da un evento esterno alla biosfera, un meteorite di grandi dimensioni che colpì la Terra dove è oggi il Golfo del Messico. La grande morìa, tra il Permiano e del Triassico, ha invece un altro colpevole.

“L’evento di estinzione del Permiano-Triassico non è ancora pienamente compreso”, ha detto Algeo. “C’è voluto del tempo, ma finalmente è emersa la consapevolezza nella comunità scientifica che questo evento non è stato causato da un bolide”.

Algeo e colleghi da tutto il mondo stanno cercando di dare una spiegazione plausibile degli eventi che hanno quasi cancellato la vita dal nostro pianeta. Il lavoro coinvolge cinque ricercatori oltre a Algeo. La National Science Foundation ha fornito contributi sostanziali a sostegno della ricerca.

Le prove che Algeo e dei suoi colleghi stanno cercando sono segni di vulcanismo massiccio in Siberia. Una gran parte della Siberia occidentale rivela depositi vulcanici di cinque chilometri di spessore, che ricoprono una superficie equivalente agli Stati Uniti.

“È stata una effusione massiccia di lava basaltica,” ha detto Algeo. E la lava scorreva dove avrebbe potuto mettere più in pericolo la vita, ossia su un enorme deposito di carbone fossile.

Algeo ha evidenziato che il bolide che ha uccso i dinosauri è stato un evento letale perché ha vaporizzato sedimenti ricchi di zolfo, determinando precipitazioni molto acide. Gli effetti della eruzione lavica siberiana è stata ugualmente amplificata dal deposito di carbone.

“L’eruzione ha rilasciato molto metano in atmosfera, emesso attraverso la combustione del carbon fossile”, ha detto. “Il metano è 30 volte più efficace come gas serra rispetto all’anidride carbonica. Non siamo sicuri della durata dell’effetto serra che si è innescato da questo evento vulcanico, ma sembra che sia durato migliaia di anni, forse decine di migliaia di anni“.

Molte prove sono state erose e disciolte in mare, ed è qui che Algeo ed i suoi colleghi le hanno cercate. Oggi, quei depositi oceanici si trovano in Canada, Cina, Vietnam, Pakistan, India, Spitzbergen (un’isola a nord della Norvegia) e Groenlandia.

A Denver Algeo, con Margaret Fraiser dell’Università di Wisconsin-Milwaukee, ha presieduto una sessione sui “Nuovi sviluppi nella paleoceanografia del Permiano-Triassico” per analizzare alcune delle prove appena trovate. Algeo ha mostrato due presentazioni che suggeriscono come l’eruzione lavica in Siberia non può essere stata l’unica causa di morte a livello planetario durante il tardo Permiano.

L’analisi del contenuto di carbonio di sedimenti marini in 33 siti in tutto il mondo mostra un andamento simile, tranne che per le rocce ora presenti in Cina meridionale. Mentre la maggior parte delle rocce formatesi durante l’estinzione mostrano un aumento delle concentrazioni di carbonio organico totale e più elevati tassi di accumulo di carbonio organico, i campioni di roccia cinesi mostrano l’effetto opposto.

“E’ probabile che siamo di fronte ad un’esplosiva eruzione vulcanica regionale”, ha detto Algeo. “I sedimenti lì  sono semplicemente sterilizzati. Può essere che gli effetti combinati dell’attività vulcanica locale e del cambiamento climatico globale siano stati particolarmente letali”.

Algeo presenterà anche una ricerca sulle condizioni che hanno portato alla carenza di ossigeno negli oceani durante il tardo Permiano. Il clima caldo ha certamente giocato un ruolo, in quanto condizioni uniformemente calde soffocano il ricambio dovuto alle correnti oceaniche. Tuttavia, Algeo ritiene che abbiano contribuito anche l’alterazione chimica da piogge acide e processi simili. Quando un’erosione sette volte superiore al normale riversò grandi flussi di nutrienti in mare, si crearono condizioni molto simili a quello che succede oggi nei pressi delle foci di grandi fiumi. Come oggi, questa condizione ha portato ad un aumento spropositato di vita microbica e il conseguente consumo dell’ossigeno disciolto in acqua – e quindi la scomparsa della vita dai mari del tardo Permiano.

“Se c’è una lezione da imparare da tutto questo,” ha concluso Algeo, “è un promemoria su come le cose possono prendere una brutta piega abbastanza velocemente e abbastanza seriamente. Siamo abituati a un mondo stabile, ma potrebbe non essere sempre così stabile”.

Un sistema complesso come l’ecosistema terrestre, in altre parole, potrebbe nascondere degli “interruttori” che, una volta innescati, potrebbero far spostare il sistema in un nuovo equilibrio stabile, ma il passaggio potrebbe essere tutt’altro che indolore per la vita sulla Terra.

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