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Più anidride carbonica nell’Artide: responsabile il Sole, non i microrganismi

Un nuovo studio è giunto alla conclusione che sia la luce del sole e non l’opera dei batteri, la chiave per la produzione di CO2

Scritto da Leonardo Debbia il 01.09.2014

La vasta riserva di carbonio immagazzinato nel permafrost artico sta gradualmente convertendosi in anidride carbonica, dopo che l’apporto d’acqua dolce è divenuto fondamentale in un processo che si riteneva controllato in massima parte dall’attività microbica.

Un nuovo studio, pubblicato dalla rivista Science, è infatti giunto alla conclusione che sia la luce del sole e non l’opera dei batteri, la chiave che fa da innesco alla produzione di CO2 da parte del materiale che compone i suoli artici.

Artico

Materia organica terrestre si riversa in un lago.
Crediti: Oregon State University

La scoperta è particolarmente importante – dicono gli scienziati – perché il cambiamento climatico potrebbe influenzare tempi e cause di scongelamento del permafrost, la spinta che avrebbe dato il via al processo di conversione del carbonio organico in anidride carbonica.

“Il permafrost artico racchiude circa la metà dell’intero carbonio organico intrappolato nel suolo dell’intero pianeta ed è pari al doppio della quantità che compone l’atmosfera terrestre”, sostiene Byron Crump, un ecologo microbico della Oregon State University, co-autore dello studio. “Questo rappresenta un grande cambiamento nel modo di considerare il funzionamento del ciclo del carbonio nella regione artica”.

“La conversione del carbonio nel terreno in anidride carbonica è un processo in due fasi”, osserva Rose Cory, docente di Scienze della Terra e dell’Ambiente presso l’Università del Michigan, autrice dello studio. “In primo luogo, il permafrost che costituisce il suolo deve scongelarsi e quindi i batteri debbono trasformare il carbonio in anidride carbonica o metano. Mentre gran parte di questo processo di conversione si svolge nel terreno, una grande quantità di carbonio viene asportato nei fiumi e nei laghi”.

“Abbiamo scoperto che nei fiumi e nei laghi artici” – continua la ricercatrice – “la luce del sole è più veloce dei batteri ad operare la trasformazione di carbonio in CO2. Questa nuova comprensione è davvero fondamentale, perché se vogliamo avere la risposta su come il riscaldamento artico possa avere un’azione di feedback sul resto del mondo, dobbiamo conoscere bene il ciclo del carbonio”.

Ricordiamo che l’azione di feedback (o retroazione) consiste in una risposta di un sistema ad una sollecitazione, che può amplificare gli effetti (feedback positivo) o attenuare gli effetti (feedback negativo) della sollecitazione.

Tipico esempio del primo caso è la fusione dei ghiacci polari. L’aumento della temperatura fa fondere il ghiaccio; la superficie bianca dei ghiacci riflette la luce solare, che riscalda gli strati bassi dell’atmosfera aumentandone la temperatura. Risultato, il sistema si autoalimenta.

Un esempio di feedback negativo viene dallo stesso processo esaminato prima. L’evaporazione del ghiaccio produce più nubi che ostacolano il passaggio della luce solare e quindi abbassano la temperatura. Risultato, il sistema si autolimita.

I due esempi sono stati proposti non a caso, proprio per sottolineare quanto sia difficile prevedere quale dei due effetti prevalga e quindi quando e dove la radiazione solare aumenti il riscaldamento globale.

“In sostanza, non si può sapere quanta CO2 si formi dalla fusione del permafrost, considerando la sola azione dei batteri”, afferma Cory.

Il team di ricerca ha misurato la velocità con cui il carbonio viene trasformato in CO2 sia dai batteri che dalla luce solare, esaminando molti laghi e fiumi dell’Artide. Quasi ovunque, i batteri sono risultati più lenti.

La spiegazione sta nella scarsa profondità dell’acqua dolce artica che consente a tutto il carbonio della massa d’acqua di venir raggiunto dalla luce solare. In aggiunta, la mancanza di alberi e di ombra favorisce ulteriormente questa conversione.

Un altro fattore che limita il contributo microbico è che in queste acque la crescita dei batteri, a causa di limitati apporti nutritivi, è anche più lenta.

“La luce, dunque, può avere un effetto enorme sulla materia organica e di conseguenza sulla quantità di CO2 emessa nell’atmosfera”, conclude Cory.

“Il livello di scongelamento si ha quando l’acqua è poco profonda, specie in estate”, afferma Crump. “Se le stagioni cominciano a cambiare con il cambiamento climatico e il disgelo inizia prima, esponendo il carbonio del permafrost a più luce solare, potenzialmente si potrebbe avere un maggior rilascio di anidride carbonica”.

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