Il permafrost, il particolare suolo che caratterizza le regioni artiche e subartiche, esercita un importante controllo dei processi idrologici nei suoli e nei laghi di quelle regioni e si può quindi capire quanto siano importanti le relazioni tra permafrost e clima.
Quando, difatti, sopraggiunge l’ estate e il permafrost si scongela, considerevoli quantità di gas serra vengono rilasciate nell’atmosfera.
Secondo un recente studio, condotto dai ricercatori dell’Università della California, Irvine (UCI), tra i gas emessi, la maggior parte del carbonio proveniente dai laghi nel nord dell’Alaska sarebbe di età relativamente recente.
Le attuali emissioni, sia di metano che di anidride carbonica dei laghi artici, provengono principalmente da materia organica risalente agli ultimi 3-4 millenni; non già dal permafrost pleistocenico.
I ricercatori, utilizzando metodi di datazione al carbonio 14, hanno determinato che questo carbonio si è accumulato solo negli ultimi secoli.
“Questa scoperta è cruciale, dato che gran parte della biomassa immagazzinata nel terreno dell’Artico è, invece, ben più antica, attribuibile alla fine del Pleistocene, 11.500 anni fa”, afferma Claudia Czimczik, docente di Scienze del Sistema terrestre all’UCI, che ha diretto lo studio i cui risultati sono stati pubblicati alcuni giorni orsono sulla rivista Nature Climate Change.
“Queste riserve di carbonio giovane dei laghi molto probabilmente includono prodotti fotosintetici relativamente freschi, riversatisi nei laghi dagli spartiacque circostanti e formati da materiale organico proveniente da piante acquatiche e da fitoplancton o da carbonio inorganico disciolto nell’acqua”, afferma l’autore principale Clayton Elder, ricercatore presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, California.
Per verificare l’impatto dell’ambiente fisico sui modelli di emissione del carbonio, il team di studiosi ha esaminato una vasta gamma di laghi su un’area di 96.500 miglia quadrate nell’Alaska North Slope, prelevando numerosi campioni sia durante l’estate che durante l’inverno del 2013 e del 2014.
La ricerca ha offerto nuovi spunti sulle relazioni tra geologia e modelli di stoccaggio del carbonio.
E’ stato confermato che i laghi circondati da depositi di sedimenti più fini costituiscono depositi di carbonio più efficienti rispetto ai depositi sabbiosi.
Le particelle più fini, infatti, possono sequestrare più carbonio per periodi più lunghi, rispetto ai sedimenti sabbiosi.
I sedimenti più fini rilasciano inoltre una maggiore quantità di nutrienti, che vanno a favorire la decomposizione microbica di materiale organico, accrescendo così l’emissione di gas serra.
Elder sostiene che la maggior parte del carbonio emesso dai laghi artici avviene sotto forma di anidride carbonica (CO2), non di metano (CH4).
Il metano tuttavia, pur essendo meno presente nell’atmosfera terrestre, è in grado di intrappolare il calore in maniera più efficiente.
“Questo implica che un’alta percentuale del metano prodotto nei sedimenti lacustri viene ossidato ad anidride carbonica già nella massa d’acqua prima dell’emissione nell’atmosfera”, afferma Elder. “La copertura di ghiaccio, sensibile al clima, è particolarmente importante per la conversione delle emissioni di metano in anidride carbonica, meno incisiva perchè ostacola le emissioni e rende il metano vulnerabile all’azione dei microbi ossidanti che vivono nella massa d’acqua per periodi più lunghi. Se perdiamo sempre più ghiaccio, in futuro, a causa del riscaldamento, emissioni più elevate di carbonio potranno trasformarsi in metano”.
Altre ricerche hanno dimostrato che il metano viene rilasciato dalle antiche riserve di carbonio nelle acque di fondo del Mar Glaciale Artico al largo delle coste dell’Alaska, ma solo piccole quantità arrivano di fatto in superficie.
Questo suggerirebbe che l’ossidazione della massa d’acqua è un forte controllo sull’emissione nell’atmosfera dell’antico carbonio come metano.
Elder ha assicurato che questa ricerca è veramente la prima che viene effettuata nei laghi artici.
“Il nostro obiettivo era misurare le emissioni di gas serra su scale spaziali e temporali rilevanti, quindi il nostro set di dati rappresenta un’importante base di riferimento che gli studi futuri potranno utilizzare come termine di paragone”, afferma. “Questi ambienti sensibili sono stati troppo ignorati in passato, soprattutto per quanto riguardava il loro potenziale impatto sul clima globale”.