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Cambiamenti climatici del Pleistocene e ultima Era glaciale

Scritto da Leonardo Debbia il 20.01.2019

Le indagini sulle cause che provocarono l’ultimo grande cambiamento climatico che circa un milione di anni fa interessò la Terra e i cui notevoli effetti si protrassero nel tempo, hanno subìto oggi una nuova svolta.

Un team di ricercatori dell’Università di Exeter, nel Regno Unito, guidato dal dr Sev Kender, geologo della Camborne School of Mines presso l’Università di Exeter, in Cornovaglia, ha proposto una nuova teoria sulle cause che favorirono la cosiddetta ‘Transizione del Pleistocene Medio’ (MPT), il periodo durante il quale il nostro pianeta sperimentò una particolare fase climatica, caratterizzata da cicli più lunghi e più intensi di clima freddo estremo, noti anche come glaciazioni.

ghiacciaio

Il dr Kender e il suo team hanno scoperto che, durante questo periodo, la chiusura dello Stretto di Bering ad opera del ghiaccio potrebbe aver causato una stratificazione delle acque del Pacifico settentrionale; una disposizione cioè in strati distinti, che avrebbero a loro volta provocato la rimozione di CO2 dall’atmosfera e conseguentemente il raffreddamento del clima globale.

Il team britannico ritiene che questa ultima scoperta potrebbe fornire la spiegazione fondamentale su come si è verificato l’ MPT e potrebbe quindi far riconsiderare il ruolo dei fattori trainanti i grandi cambiamenti climatici globali.

I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature Communications il 19 dicembre scorso.

“Il Nord Pacifico subartico comprendeva alcune delle più antiche acque terrestri che, causa la loro lunga separazione dall’atmosfera, avevano accumulato nelle loro profondità un’alta concentrazione di CO2 disciolta”, dichiara il dr Kender. “Quando queste acque salirono in superficie, parte dell’anidride carbonica venne rilasciata e questo è un processo importante sulla scala dei tempi geologici, che ha sicuramente indotto il riscaldamento globale e le glaciazioni del passato”.

“Il nostro team ha prelevato nuclei di sedimenti dal fondo del Mare di Bering, consentendoci di ricostruire un archivio della storia della regione. Studiando la chimica dei sedimenti e dei gusci fossili, in particolar modo dei foraminiferi, siamo stati così in grado di ricostruire la produttività del plancton nelle acque di superficie e in quelle del fondo, comparandole.

“Abbiamo anche potuto datare meglio i sedimenti in modo da poter confrontare i cambiamenti del Mare di Bering con altri cambiamenti globali della stessa età.

“Abbiamo scoperto così che durante l’MPT la regione del Mare di Bering era diventata più stratificata e prevalevano le profondità intermedie, cosicchè uno dei contributi più importanti al riscaldamento globale – la risalita in superficie delle acque dei fondali del Nord Pacifico subartico – era stato effettivamente ridotto”.

Il clima della Terra è sempre stato soggetto a cambiamenti significativi e negli ultimi 600mila anni ha avuto oscillazioni tra periodi caldi, simili all’attuale, e periodi più freddi, allorchè ampie aree continentali erano sepolte sotto chilometri quadrati di ghiaccio molto spesso.

E’ noto che questi cambiamenti regolari e naturali del clima terrestre sono governati da cambiamenti del moto della Terra intorno al Sole e da variazioni nell’inclinazione dell’asse terrestre causate da interazioni gravitazionali con gli altri pianeti.

Questi cambiamenti, noti anche come cicli orbitali, possono influenzare il modo in cui l’energia solare viene dispersa su tutto il pianeta. Alcuni di questi cicli possono quindi portare ad estati più fredde nell’emisfero settentrionale, che possono poi innescare, a loro volta, estensioni glaciali, mentre cicli successivi possono portare a estati più calde e alla fusione dei ghiacci.

Tuttavia, questi cicli possono essere influenzati da una serie di fattori che tendono ad amplificarne l’effetto; uno di questi, è la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera.

Dato che l’MPT si verificò in un periodo in cui non erano avvenuti cambiamenti apparenti dei cicli orbitali, gli scienziati hanno cercato di scoprire quali altri fattori avessero potuto provocare i cambiamenti climatici più intensi che di fatto avvennero.

E’ stato così che il dr Kender e il suo team, in collaborazione con l’International Ocean Discovery Program, hanno indagato sui sedimenti profondi del Mare di Bering e hanno analizzato la chimica dei gusci e dei sedimenti fossili.

Gli studiosi hanno ricostruito dettagliatamente le masse d’acqua oceaniche nel tempo e hanno scoperto che la chiusura dello stretto di Bering avrebbe causato la stratificazione del Nord Pacifico subartico che, a sua volta, avrebbe rimosso la CO2 dall’atmosfera e provocato il raffreddamento globale.

“Oggi gran parte dell’acqua fredda di provenienza glaciale si riversa nell’Oceano Artico attraverso lo Stretto di Bering”, spiega il dr Kender. “Circa un milione di anni fa, mentre i ghiacciai crescevano e il livello dei mari si abbassava, lo Stretto di Bering si sarebbe chiuso, trattenendo l’acqua più fredda all’interno del Mare di Bering. Quest’acqua avrebbe impedito la risalita delle acque più profonde e ricche di CO2, permettendo all’oceano di sequestrare più CO2 dall’atmosfera.

“L’effetto del raffreddamento avrebbe agito sulla Terra in concorso con i cicli orbitali, provocando periodi più freddi e più lunghi, che avrebbero pertanto caratterizzato il clima di quel tempo”.

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