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Lo scongelamento del permafrost causa l’imbrunimento dei laghi nel Nord

Scritto da Leonardo Debbia il 21.03.2018

Con il termine di ‘permafrost’ viene indicato il terreno persistentemente ghiacciato, tipico delle regioni artiche e subartiche del Nord Europa, la cui superficie copre all’incirca il 20 per cento delle terre emerse.

La sua estensione e la sua profondità variano in funzione delle condizioni climatiche e soprattutto, in questi ultimi anni, a causa del riscaldamento globale in atto. Si passa comunque da pochi centimetri di spessore per lo strato più superficiale a centinaia di metri per la parte più profonda e più antica.

Terreno congelato sulla costa nordorientale nell'arcipelago delle Svalbard, Mar Glaciale Artico

Terreno congelato sulla costa nordorientale nell’arcipelago delle Svalbard, Mar Glaciale Artico

Durante lo scioglimento del ghiaccio, il carbonio organico che si trova all’interno del permafrost, dopo anni di intrappolamento nel suolo, viene rilasciato e riversato nei laghi e negli stagni artici e subartici, che subiscono di fatto una modifica nella loro composizione e un aspetto alquanto particolare.

Lo scenario che si presenta agli occhi di un osservatore è stato illustrato in uno studio di un team internazionale di ricercatori, che include la professoressa Isabelle Laurion, dell’ Institut National de la recherche scientifique (INRS), e mostra l’influenza dello scongelamento del permafrost sulla biogeochimica delle acque superficiali.

Dallo studio, pubblicato sulla rivista Limnology and Oceanography Letters, viene chiaramente posto in evidenza che il carbonio organico proveniente dal permafrost sta aumentando nelle acque di queste regioni.

Questo tipo di carbonio assorbe in maniera particolare la luce solare e di conseguenza i corpi idrici delle regioni ad alta latitudine stanno diventando sempre più scuri e stratificati e questo ha ovvie ricadute su un discreto numero di processi biologici all’interno degli ecosistemi.

I terreni ghiacciati della tundra sono una delle più grandi riserve di carbonio organico del pianeta. Con il riscaldamento del clima, lo scongelamento del permafrost si è accelerato e quindi   va aumentando il rischio che una gran parte di questo carbonio venga rilasciato nell’atmosfera sotto forma di gas serra.

Tuttavia, fino a questo momento, sono pochi gli studi condotti sugli effetti del disgelo del permafrost sugli stagni artici e subartici.

Utilizzando misure chimiche, biologiche, ottiche e isotopiche, i ricercatori del Quebec, della Danimarca, della Finlandia e della Svezia hanno analizzato centinaia di campioni provenienti da 14 regioni circumpolari che vanno dall’Alaska alla Russia (dalla zona subartica all’Alto Artico).

Tra il 2002 e il 2013 sono stati campionati 253 stagni, distribuiti in base alla loro esposizione al disgelo del permafrost.

Nonostante le variazioni delle proprietà limnologiche dei sistemi artici studiati, i ricercatori hanno chiaramente osservato che il disgelo del permafrost si traduce in maggiori concentrazioni di materia organica dal terreno di raccolta.

“Il carbonio organico derivato dalla terra sta avendo un’influenza crescente sugli stagni artici e subartici e comporta cambiamenti anche nella rete alimentare”, sentanziano gli autori dello studio.

“L’imbrunimento di questi sistemi porta all’esaurimento di ossigeno e alla presenza di acqua più fredda sul fondo degli stagni, e questo può avere un forte impatto sull’attività microbica responsabile della produzione e del consumo di gas serra, in particolare sulla produzione di metano, il gas serra più nocivo per eccellenza”.

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