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Consumo del suolo: in fumo 70 ettari al giorno

ISPRA: 22.000KM quadrati di suolo consumati da edilizia e infrastrutture. In tre anni 720km quadrati, ogni giorno 70 ettari, 8 metri quadrati al secondo

Scritto da Micaela Conterio il 26.03.2014

“Difendere il suolo dalle aggressioni indiscriminate significa tutelare non solo una risorsa economica strategica, ma anche proteggere il Paese dalla minaccia del dissesto idrogeologico che, proprio a causa dell’uso dissennato del territorio, spesso ha conseguenze gravissime, soprattutto in termini di perdita di vite umane. Per questo il Rapporto dell’ISPRA assume particolare rilievo; è la dimostrazione che in Italia esiste un sistema pubblico in grado di assicurare elevati standard di qualità nel monitoraggio dell’ambiente e di rendere disponibile una base informativa utile alla valutazione del fenomeno”.

Speculazione-edilizia

Con queste parole il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha salutato oggi la presentazione del Rapporto ISPRA sul consumo di suolo in Italia. I dati che emergono tratteggiano una situazione a tinte molto fosche, anche perché il Report ricostruisce l’andamento dal 1956 al 2012, che registra un incremento del 4%, passando rispettivamente dal 2,9% degli ani ’50 al 7,3% del 2012. Tanto per rendere l’idea negli ultimi 3 anni presi in considerazione dal rapporto (2009-2012) si è verificato un “lieve” incremento dello 0,3%, circa 720 km2, pari alla somma dei comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo.

Sarebbero, secondo le stime, ormai quasi 22.000 i chilometri quadrati del nostro territorio intaccati finora dal consumo di suolo, con valori pari a 70 ettari al giorno, circa 8 metri quadrati al secondo. Giorno dopo giorno il nostro territorio, in particolare le aree naturali o agricole, è “mangiato” dal cemento di edifici e capannoni, ma anche dall’asfalto di servizi e strade, legate all’espansione delle aree urbane, di infrastrutture, di insediamenti commerciali, produttivi e di servizio. Edilizia e infrastrutture ricoprono quasi l’80% del territorio artificiale (strade asfaltate e ferrovie 28%, strade sterrate e infrastrutture di trasporto secondarie 19%), seguite dalla presenza di edifici (30%) e di parcheggi, piazzali e aree di cantiere (14%).

La medaglia d’oro della copertura artificiale spetta a Lombardia e Veneto, con oltre il 10%, seguono Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia tra l’8 e il 10%. Tra i comuni i più cementificati si confermano Napoli (62,1%), Milano (61,7%), Torino (54,8%), Pescara (53,4%), Monza (48,6%), Bergamo (46,4) e Brescia (44,5).

«Il suolo – ha dichiarato Bernardo De Bernardinis, Presidente dell’ISPRA – si pone al centro di un sistema di relazioni tra le principali pressioni ambientali e i cicli naturali che assicurano il sostentamento della vita sul pianeta; è solo attraverso la conoscenza dell’intero sistema e dei processi che lo governano che sarà possibile porre le basi per interventi efficaci sulle cause del suo deterioramento ed alterazione, così come per contrastare le minacce dovute alle attività antropiche che ne determinano una continua e crescente impermeabilizzazione, pianificata o abusiva che sia e che generano contaminazione, perdita della biodiversità e processi di desertificazione, compromettendone la disponibilità per lo stesso sviluppo della nostra società. Misurare e valutare il consumo del suolo presenta elementi di forte complessità, perché i processi naturali si legano alle dinamiche abitative e produttive delle popolazioni. La conoscenza di tali dinamiche e di tali processi è essenziale per la definizione del quadro d’insieme».

La perdita di aree naturali, con la conseguente avanzata di cemento e asfalto, ha ricadute in termini di impatti sui cambiamenti climatici: dal 2009 al 2012 sono state immesse in atmosfera ben 21 milioni di tonnellate di CO2 – pari all’introduzione nella rete viaria di 4 milioni di utilitarie in più (l’11% dei veicoli circolanti nel 2012) con una percorrenza di 15.000 km/anno – per un costo complessivo stimato intorno ai 130 milioni di euro.

Se si prendono poi in considerazione le ripercussioni che l’avanzata del cemento ha sull’acqua e sulla capacità di produzione agricola, emerge che in questi 3 anni i terreni hanno perso una capacità di ritenzione pari a 270 milioni di tonnellate d’acqua che, non potendo infiltrarsi nel terreno, deve essere gestita. La stima è fatta tenendo presente che un suolo può immagazzinare fino a 3.750 tonnellate di acqua per ettaro, circa 400 mm di precipitazioni. È stato stimato che il costo della gestione dell’acqua non infiltrata in Italia dal 2009 al 2012, è ammontato a circa 500 milioni di Euro. Le proiezioni sono state effettuate a partire da uno studio del Central Europe Programme, secondo il quale 1 ettaro di suolo consumato comporta una spesa di 6.500 euro per il mantenimento e la pulizia di canali e fognature. Il consumo di suolo, in aggiunta, ha effetti negativi anche anche sull’agricoltura e quindi sull’alimentazione: se, ad esempio, i 70 ettari di suolo perso ogni giorno fossero coltivati esclusivamente a cereali, tra il 2009 e il 2012 avremmo prodotto 450.000 tonnellate di cereali, risparmiando l’importo stimato di 90 milioni di Euro.

«Oggi più che mai, quindi – ha affermato Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera – la battaglia contro il consumo di territorio è la base per rilanciare una nuova edilizia che punti sulla qualità, sul risparmio energetico, sulla sicurezza antisismica, sul recupero del patrimonio esistente. Le leggi in discussione alla Camera sul contenimento del consumo di suolo e le varie misure dovute anche a normative europee volte a favorire il risparmio energetico e la sicurezza antisismica in edilizia sono una parte importante della nostra green economy’, che già oggi in Italia quasi il 70% degli investimenti del settore riguarda il recupero e la manutenzione dell’esistente. Non a caso gli incentivi per le ristrutturazioni e l’efficienza energetica in edilizia sono la misura di gran lunga più importante messa in capo nel 2013 per l’occupazione: hanno prodotto 19 miliardi di investimenti, garantendo oltre 280mila posti di lavoro, tra diretti e indotto».

Per un confronto con gli altri Paesi dell’Unione Europea, l’Italia ha una percentuale di superficie ad uso artificiale (7,8%) maggiore della media comunitaria (4,6%), collocandosi al quinto posto dopo Malta (32,9%), il Belgio (13,4%), i Paesi Bassi (12,2%), il Lussemburgo (11,9%), e di poco sopra a Germania, Danimarca e Regno Unito (7,7%, 7,1% e 6,5%, rispettivamente).

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