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Semi grandi, fusti slanciati: ecco il futuro dell’agricoltura

Scritto da Marta Gaia Sperandii il 15.12.2014

La sicurezza alimentare passa per lo studio della storia. Lo afferma una ricerca dell’Università di Sheffield, condotta da Catherine Preece assieme ai colleghi del Department of Animal and Plant Sciences e del Department of Archaeology. Secondo glie scienziati, le scelte colturali fatte più di 10.000 anni fa dai nostri antenati potrebbero fornirci informazioni importanti per garantire, in futuro, il fabbisogno alimentare.

Mietitura del grano in Uzbekistan - fonte VOA

Cosa ha spinto i primi agricoltori nella Mezzaluna Fertile, arco di terra mediorientale compreso tra il mar Mediterraneo e il Golfo Persico, culla delle civiltà più evolute, a scegliere di coltivare alcuni cereali piuttosto che altri?

Per scoprirlo, gli scienziati hanno sperimentato varietà selvatiche e ancestrali di quei cereali che al giorno d’oggi costituiscono la base della nostra dieta, come grano ed orzo, assieme ad altre erbacee accomunate dall’essere spontanee di quell’area. L’obiettivo dei ricercatori?Individuare i tratti funzionali che rendono alcune piante più adatte ad essere coltivate: la loro struttura ad esempio, o la quantità di seme edibile prodotto.

“I risultati ci hanno sorpreso” -afferma la Preece- “perché molte piante di cui i nostri antenati si cibavano, e noi invece non mangiamo, riescono a produrre tanto seme quanto grano selvatico ed orzo. Ma solo condizioni di forte densità, simili a quelle riscontrabili in una coltivazione, rivelano il vantaggio competitivo di grano selvatico ed orzo”.

Lo studio ha individuato due fondamentali caratteristiche condivise dai parenti selvatici delle specie attualmente coltivate. Intanto le maggiori dimensioni dei semi, cui corrispondono piantine più grandi, e quindi più abili ed efficienti nella competizione per la luce ed i nutrienti. In secondo luogo, allo stato adulto queste piante hanno un aspetto meno folto e sistemano i loro grandi semi su di un numero inferiore di steli. Se quindi in condizioni di “isolamento”, cereali “selvatici” ed altre erbacee mostrano un comportamento pressoché assimilabile, la competizione creata dalla vicinanza spaziale, elemento chiave della moderna agricoltura intensiva, produce risultati nettamente migliori nei primi.

Informazioni importantissime, considerando una popolazione mondiale in continuo aumento. Sostiene infatti la ricercatrice:” I nostri avi mangiavano molte più piante di noi. Se solo riuscissimo a capire quali caratteristiche hanno permesso che alcune di queste siano diventate delle ottime colture, potremmo cercare quelle stesse caratteristiche in altre specie, e magari, in futuro, utilizzarle nei campi”.

Finora gli esperimenti sono stati condotti in serre, evidenziando come proprio le strategie con cui le specie competono siano determinanti per il successo di una coltura. Il prossimo passo sarà quello di studiare la competizione nel loro ambiente naturale: campi sperimentali in Turchia, nel cuore della Mezzaluna Fertile.

Tra gli agricoltori, l’interesse nei confronti delle varietà selvatiche è crescente per la possibilità di incrementare non solo i raccolti, ma anche resilienza ed adattamento ai cambiamenti climatici. Lo afferma la scienziata, che conclude: “Per modellare il futuro dobbiamo conoscere e capire il passato. Più scopriremo riguardo le origini dell’agricoltura e maggiori saranno gli strumenti a disposizione per affrontare le sfide della produzione alimentare”.

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