Attraverso più di 40 mila brevetti sulle singole molecole di DNA, le aziende hanno ormai teoricamente messo le mani – attraverso brevetti – sull’intero genoma umano. E’ quanto annunciato dai ricercatori del Weill Cornell Medical College e dell’Università di Medicina e Odontoiatria del New Jersey (UMDNJ) in un recente studio che cerca di lanciare l’allarme sull’inquietante assenza di “libertà genomica”.
Gli scienziati hanno esaminato due tipi di sequenze di DNA brevettate: frammenti lunghi e brevi. Hanno scoperto che il 41% del genoma umano è coperto da brevetti per quanto riguarda i frammenti lunghi di DNA, quelli che riguardano interi geni. Hanno anche scoperto che, poiché molti geni contengono sequenze simili all’interno della loro struttura genetica, se vengono considerati tutti i brevetti sulle “sequenze brevi” che sono già stati autorizzati dai vari governi del mondo, si arriverebbe al 100% del genoma. MA anche senza considerare i geni, se si considerano le sole sequenze brevi si arriva comunque a coprire coi brevetti esistenti praticamente l’intero genoma.
“Se questi brevetti saranno per intero applicati, la nostra libertà genomica verrà perduta,” ha affermato l’autore principale dello studio, Christopher E. Mason, assistente professore di fisiologia, biofisica e genomica computazionale presso l’Istituto di Biomedicina Computazionale Weill Cornell. “Quando si entrerà nell’era della medicina personalizzata, staremo ironicamente vivendo anche nell’era della genomica brevettata. Bisogna chiedersi, come è possibile che il mio medico non possa guardare il mio DNA senza preoccuparsi di star violando un brevetto?”
La Corte Suprema degli Stati Uniti esaminerà i diritti di brevetto genomici in una udienza che si terrà il prossimo 15 aprile. In discussione è il diritto della Myriad Genetics di rivendicare una serie di brevetti su geni legati al cancro al seno e al cancro ovarico, che si chiamano BRCA1 e BRCA2, ma anche su una piccola sequenza di codice all’interno del gene BRCA1, comprendente un brevetto che interessa soli 15 nucleotidi.
Nello studio, il team di ricerca ha trovato che piccole sequenze del gene BRCA1 sono presenti in altri geni e ha scoperto che i brevetti della sola Myriad Genetics copre almeno altri 689 geni – che non hanno nulla a che fare con i tumori al seno e alle ovaie, anzi, i suoi brevetti coprirebbero 19 altri tumori come pure geni coinvolti nello sviluppo del cervello e nel funzionamento del cuore.
“Questo significa che se la Corte Suprema confermerà l’attuale campo dei brevetti, nessun medico o ricercatore potrà più studiare il DNA di questi geni nei loro pazienti, e nessun test diagnostico o farmaco potrà essere sviluppato sulla base di uno qualsiasi di questi geni senza violare un brevetto,” dice il Dott. Mason.
Mason ha deciso di intraprendere lo studio perché si è reso conto che la sua ricerca sui disturbi del cervello e sul cancro avrebbe inevitabilmente coinvolto lo studio dei geni che sono già protetti da brevetti.
Secondo la legge dei brevetti degli Stati Uniti, i geni possono essere brevettati dai ricercatori, sia presso aziende che istituzioni, quando vengono scoperti per la prima volta e se si dimostra che il gene o la sequenza promettono un’applicazione utile, ad esempio per un test diagnostico.
L’impatto di questi brevetti è molto onerosa per la ricerca, ha detto Mason. “Quasi ogni giorno mi imbatto in un gene che è brevettato, una situazione che è comune ad ogni genetista in ogni laboratorio del mondo,” aggiunge Mason.
“C’è una vera e propria controversia in materia di proprietà intellettuale sui geni a causa della sovrapposizione di molte rivendicazioni brevettuali concorrenti. Non è chiaro chi possiede realmente i diritti di ogni gene,” ha detto Jeffrey Rosenfeld, assistente di medicina presso la UMDNJ che ha partecipato alla ricerca. “Mentre la Corte Suprema sta affrontando un caso riguardante un solo brevetto su BRCA1, ci sono molti altri brevetti che riguardano quello stesso gene.”
Un ulteriore elemento di preoccupazione è che i brevetti sul DNA possono facilmente attraversare i confini delle diverse specie viventi. Una società può avere un brevetto che ha ricevuto per le mucche d’allevamento ma che in realtà copre una grossa percentuale di geni umani. In effetti, i ricercatori hanno scoperto che una società possiede i diritti per l’84% di tutti i geni umani a causa di un brevetto che si è vista approvato su una particolare mucca da allevamento. “Sembra sciocco che un brevetto progettato per studiare la genetica delle mucche possa coinvolgere la maggior parte dei geni umani,” dice Rosenfeld.
I ricercatori hanno anche esaminato l’impatto dei brevetti già esistenti sull’intero DNA, che variano da sequenze di poche decine fino a migliaia di basi di DNA, e hanno scoperto che queste sequenze corrispondono al 41% dei geni umani (9.361 basi). La loro analisi ha concluso che quasi tutti i geni clinicamente rilevanti sono già stati brevettati, soprattutto con brevetti su sequenze brevi, il che mostra che tutti i geni umani sono stati già brevettati più volte.
“Questo è, per così dire, palesemente ridicolo”, aggiunge il dottor Mason. “Se le rivendicazioni di brevetto che utilizzano queste sequenze di DNA di piccole dimensioni fossero rispettate, si potrebbe creare una situazione in cui è brevettato un pezzo di ogni gene nel genoma umano da diversi brevetti concorrenti.”
Nella loro discussione, i ricercatori sostengono che la Corte Suprema USA ha ora la possibilità di ristabilire un maggiore equilibrio tra la salute umana e la protezione della proprietà intellettuale, aggiungendo che, a loro avviso, il giudice deve limitare la brevettabilità delle sequenze nucleotidiche esistenti, a causa dell’ampio campo di applicazione e della non specificità nel genoma umano.
“Credo che gli individui abbiano un diritto innato a possedere il proprio genoma, o per consentire al loro medico di studiare il proprio genoma, ad esempio dei polmoni o dei reni,” ha affermato Mason. “Un fallimento nel risolvere queste ambiguità perpetuerebbe una minaccia diretta alla libertà genomica, o il diritto a possedere il proprio DNA.”
Il loro studio è stato pubblicato il 25 marzo sulla rivista scientifica Genome Medicine.