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Il terzo rapporto sulla felicità mondiale: l’Italia al cinquantesimo posto

Scritto da Marta Gaia Sperandii il 27.04.2015

Appena due giorni fa è stato pubblicato il World Happiness Report 2015, una sorta di indagine globale del grado di felicità del pianeta.

Il rapporto annuale, cui hanno partecipato grandi esperti di settore come economisti, psicologi, politologi, statistici, revisori di politiche pubbliche e sanitarie, è ormai giunto alla sua terza edizione ed offre interessanti confronti con lo scorso decennio.

Ma perché misurare la felicità nel mondo?

Potrebbe sembrare un mero esercizio di stile delle grandi agenzie internazionali, che si conclude nel solito rapporto del quale si parla, in assenza di notizie catastrofiche, un paio di giorni al telegiornale per poi finire nel grande dimenticatoio dei documenti e delle agende globali. Non è detto che non lo sia, ma una cosa è certa: questo strumento si basa su un concetto estremamente interessante, sicuramente rivoluzionario. L’obiettivo è quello di misurare lo stato della felicità nel mondo in modo tale che sia questo, in futuro, il metro di giudizio che guidi le politiche di governo mondiali, funzionando al tempo stesso come indicatore critico, e criptico, dello stato di sviluppo economico e sociale di una nazione.

“L’ambizione di una società è la prosperità dei suoi membri”, ha dichiarato Jeffrey Sachs, uno dei coordinatori dello studio, direttore dell’Earth Institute alla Columbia University. “Questo rapporto”, prosegue Sachs, “fornisce indizi su come perseguire il benessere di una società. Non si tratta solo di denaro, ma anche di equità, onestà, fiducia e buona salute. Questo strumento sarà utile a tutti i paesi nel raggiungimento dei nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile”.

Come si misura la felicità?

Le variabili chiave utilizzate per misurare lo stato di felicità di un paese sono sei:

– il PIL reale pro capite

– il supporto sociale, inteso come l’aver qualcuno su cui contare in un momento di difficoltà

– l’aspettativa di vita in buona salute

– la percezione individuale riguardo la libertà di poter compiere scelte di vita

– la generosità, intesa come l’aver effettuato donazioni ad organizzazioni di beneficenza

– la percezione della corruzione

I dati relativi alla prima variabile sono stati presi dalla Banca Mondiale, quelli relativi all’aspettativa di vita provengono dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità, mentre gli altri derivano dai risultati del Gallup World Poll (GWP), un sondaggio globale mirato a recuperare dati utili alla costruzione di quest’indice.

I risultati

I dati si riferiscono al triennio 2012-2014. Dall’analisi della situazione di 158 paesi è emerso che i primi cinque, ovvero i più felici, risultano essere Svizzera, Islanda, Danimarca, Norvegia e Canada.

Neanche a farlo apposta, tutti detentori di grandi patrimoni naturalistici, ma questo nel rapporto non c’è scritto.

Ad ogni modo, l’Italia si trova nel primo terzo della classifica, al cinquantesimo posto, tra il Bahrain e la Bolivia. In ventiseiesima posizione troviamo la Germania, mentre la Grecia è ben più in basso, in posizione 102. Confrontando i risultati di questo rapporto con quelli relativi al triennio 2005-2007, si nota un particolare curiosissimo: se per alcuni, come la Germania, la situazione è lievemente migliorata, per noi è sostanzialmente peggiorata. Il confronto è relativo ad un minor numero di paesi, nello specifico 125, ma ciò non toglie che in questo gruppo siamo terzi nella top five di coloro che hanno visto maggiormente peggiorare la loro situazione: ci superano solamente Egitto e Grecia, mentre siamo rincorsi da Arabia Saudita e Rwanda.

Altra utilissima novità è quella di suddividere i risultati per sesso, età e regione geografica.

A scala globale le valutazioni delle donne riguardo la loro vita sembrerebbero più positive di quelle degli uomini. A livello regionale, però, la situazione è ben diversa ed è così che mentre in alcuni casi le valutazioni sulla vita, espresse per genere, si equiparano, – e quindi uomini e donne sembrerebbero essere più o meno “felici” allo stesso modo in Europa ed in Sudamerica-, in luoghi come l’Africa subsahariana le donne forniscono valutazioni ben più tristi rispetto a quelle degli uomini.

La ricetta della felicità

Dal rapporto emerge come siano diversi i fattori che influenzino da un lato i risultati degli indicatori, dall’altro le valutazioni individuali.

In primo luogo, a livello di comunità, conta molto la qualità delle istituzioni e delle norme del paese in cui viviamo. Sul piano individuale, risultano essere fondamentali famiglia ed amicizie, relazioni basate su fiducia ed empatia a livello di vicinato/comunità, ed infine l’autorevolezza e la bontà delle norme che determinano la qualità della vita a cavallo di paesi e generazioni.

Emerge inoltre come la grande sfida dei nostri governi debba essere quella di investire nella macchina sociale, insegnare l’empatia ai cittadini e collaborare alla costruzione di una comunità serena ed unita.

“Con il progredire della scienza della felicità”, ha dichiarato un altro coordinatore del rapporto, il Professor John F. Helliwell della Columbia University, “stiamo arrivando a comprendere quali siano i fattori che determinano la qualità della vita dei cittadini. Siamo incoraggiati dal fatto che sempre più governi nel mondo ascoltino e rispondano a queste teorie attraverso politiche orientate al benessere”.

E paesi dotati di una solida base, un grande capitale sociale ed istituzionale, non soltanto garantiscono un maggior benessere ai loro cittadini, secondo Helliwell, ma dimostrano una maggior resilienza in occasione di crisi economiche e sociali.

Il rapporto è stato pubblicato dal Sustainable Development Solutions Network (SDSN), un’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di elaborare strategie che, coniugando misure di sviluppo economico, benessere sociale ed attenzione nei confronti dell’ambiente, raggiungano quei traguardi di sviluppo sostenibile ai quali le Nazioni Unite lavorano a partire dalla Conferenza di Stoccolma del 1972.

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