Dal 2009 più di cento tibetani hanno sacrificato la propria vita per protestare contro le politiche oppressive del governo cinese. In memoria di questi martiri, è stata organizzata una veglia al tempio di Dharamsala, in India, sede del governo tibetano in esilio.
Cento candele sono state accese per ricordare il sacrificio di questi uomini, una forma di protesta, il suicidio, che desta molte perplessità.
Pechino ritiene che i martirii siano ispirati dal Dalai Lama, convinzione che è stata smentita fermamente da Kalsang Damdul, membro del governo tibetano: “I loro, sono atti individuali spontanei, mossi sorpattutto dalla disperazione. La situazione in Tibet è così difficile – è impossibile infatti protestare liberamente – da indurre alcuni ad azioni drastiche.”
I martiri – che nella maggioranza dei casi si danno fuoco – hanno attirato l’attenzione dei media internazionali, senza che il governo cinese abbia mosso un dito per cambiare la propria politica.
All’interno della comunità tibetana, molti ritengono necessaria una presa di posizione del Dalai Lama, fatto che potrebbe metterlo in seria difficoltà. “Ammettere che il suicidio sia una forma sbagliata di protesta, offenderebbe le famiglie dei morti per la causa tibetana. Se si dichiarasse favorevole, invece, farebbe il gioco dei cinesi, che avrebbero finalmente la prova che i suicidi sono stati ordinati dal capo spirituale in persona.”
Immolarsi in questo modo è significativo: “si brucia fuori perché si brucia dentro di sè” dice Damdul. “Ho chiesto loro di spiegarmene il motivo. Essi mi hanno risposto: ‘Ho bisogno di morire per il mio Paese, per il mio popolo”.
“C’è una grande tristezza in tutto questo” continua il deputato tibetano “ ma allo stesso tempo esiste un grande senso dell’orgoglio. Il sacrificio di questi uomini non può non essere onorato.”
A dispetto di quanto si possa pensare, il cugino di una delle vittime della protesta, Tzering, dichiara: “Bisogna provare pietà per i cinesi, non rabbia. Voglio dire ai tibetani che ogni loro singolo sforzo continuerà a fare la differenza nel mondo. Quindi non rinnunciate, non importa cosa ci accadrà. Noi continueremo ad affrontare tutte le sfide che ci aspettano.”
Da 54 anni i Tibetani vivono in esilio a Dharmasala. Nonostate tutto, la gente spera che un giorno i propri famialiari in Tibet possano liberarsi completamente dall’oppressione cinese.