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Il South Stream aggirerà il problema ucraino?

Scritto da Leonardo Fumelli il 26.11.2014

La crisi in Ucraina prosegue, sebbene di titoloni sui giornali se ne vedano sempre meno, e il nodo ucraino suscita sempre preoccupazione durante il periodo invernale. Il gasdotto South Stream eviterà il transito di idrocarburi nel paese in modo da garantire il gas proveniente dalla Russia. L’ad di ENI, al 20% nella joint venture, ha illustrato le perplessità finanziarie dell’iniziativa.

Impossibile disallineare questa crisi al problema che ogni inverno si ripropone, quello delle forniture di gas naturale verso l’Europa, che transitano in territorio ucraino e che quest’anno sono ancora sottoposte a incertezze e bluff.

Non possono passare inascoltate le parole dell’ad di Eni, Scalzi, il quale ha riferito in Commissione Senato il mese scorso sulla posizione dell’azienda leader del settore, nei confronti degli approvvigionamenti russi.

Il gasdotto South Stream è stato pensato proprio per by-passare la complicata Ucraina e trasportare idrocarburi, 63 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, passando per il Mar Nero e giungendo nel vecchio continente.

Le parole di Scanzi sono state nette: qualora l’investimento inizialmente previsto da Eni per la realizzazione dell’opera fosse superato, la società potrebbe prendere in considerazione l’uscita dalla joint-venture, alla quale Eni partecipa con il 20% (Gazprom 50%, Edf e Wintershall 15% ciascuno).

La motivazione ufficiale è l’eventuale sforamento dei bilanci che l’azienda non sarebbe in grado di  sopportare.

Prima di cercare elementi che chiarirebbero in maniera più approfondita la questione, occorre fotografare lo status dell’operazione.

Il costo del gasdotto è lievitato dai 22,3 miliardi di euro previsti a 23,5 miliardi e nel frattempo la capofila, la potente Gazprom, ha subìto nel primo semestre ’14 un calo di profitti del 21,6%. Il finanziamento dell’opera era da prevedersi con il meccanismo del project financing, ma la ricerca di soldi è stata da poco posticipata al primo trimestre 2015 a causa delle sanzioni intervenute da Occidente verso il colosso russo. Questo ha spinto Gazprom a sondare, anche se preliminarmente, gli interessi del vicino drago cinese.

Naturalmente le sanzioni non hanno disteso il clima, rappresentando inevitabilmente il primo grosso empasse alla buona riuscita dell’operazione, soprattutto dal punto di vista finanziario. Ma anche se tali sanzioni scaturiscono da comportamenti discutibili da parte di Mosca nei confronti del conflitto ucraino, è evidente che USA e UE non hanno mai visto di buon occhio le collaborazioni commerciali tra i paesi dell’est europeo e la Russia. Dipendere sempre di più dal gas moscovita proprio quando gli Stati Uniti stanno per diventare il principale produttore di idrocarburi.

L’Ungheria è stata decisa: il paese ha cercato di aggirare i veti del pacchetto energia dell’Unione Europea a favore della conferma nell’operazione South Stream, ribadendo che anche la Germania ha di fatto by-passato le zone calde dell’Ucraina trovando approvvigionamento per mezzo del cugino North Stream.

Anche la posizione della Bulgaria è stata ambigua. Le dichiarazioni del presidente sono state fuorvianti e il progetto è stato in un primo momento bloccato; la visita nel Paese del senatore USA Mc Cain ha rappresentato una forzatura sulle posizioni che erano state tenute.

Infine, non collegato alla questione, ma sempre utile da considerare per capire la delicatezza dei rapporti sovranazionali, la morte recente di Cristophe De Margerie, CEO di Total e primo oppositore delle sanzioni europee verso la Russia.

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