Ricercatori del King’s College di Londra hanno scoperto come i coralli producono sostanze anti UV naturali . Questa immagine è stata presa in una spedizione lungo la Grande Barriera Corallina per raccogliere campioni per l'analisi. Crediti: Australian Institute for Marine Science e King's College London
I ricercatori del King’s College di Londra hanno scoperto che il corallo produce composti naturali simili a quelli contenuti nelle creme solari per proteggersi dai dannosi raggi UV. Secondo gli scienziati questi composti potrebbero costituire la base di un nuovo tipo di protezione solare per gli esseri umani, che potrebbe essere assunta oralmente. Altri risvolti della ricerca potrebbero portare a colture più resistenti al sole e a comprendere meglio il fenomeno dello sbiancamento delle barriere coralline.
Questo mese il team del King’s College ha raccolto campioni di corallo dalla Grande Barriera Corallina in collaborazione con il dottor Walter Dunlap dell’Istituto australiano per le Scienze Marine e il prof. Malcolm Shick presso l’Università del Maine, in USA.
Il corallo è un animale che ha una collaborazione unica con alghe che vivono al suo interno in perfetta simbiosi – la fotosintesi è utilizzata dalle alghe per fornire cibo al corallo e il corallo produce materiali di scarto che vengono utilizzati dalle alghe per la fotosintesi. Poiché la fotosintesi necessita di luce solare per funzionare, i coralli devono vivere in acque poco profonde, il che significa che sono vulnerabili ai raggi solari.
Il dott. Paul Long, presso l’Istituto di Scienze Farmaceutiche presso King’s College di Londra e che guida il progetto, ha dichiarato: “Sapevamo già che i coralli e alcune alghe possono proteggersi dai raggi UV nei climi tropicali, producendo sostanze che sono dei veri e propri filtri solari, ma fino ad oggi non sapevamo come.
Quello che hanno scoperto è che le alghe che vivono all’interno del corallo creano un composto che si pensa sia trasportato al corallo, che lo modifica e poi lo utilizza come una vera e propria “crema solare” a beneficio sia del corallo che delle alghe.
“Non solo questo lo protegge dai danni dei raggi UV, ma abbiamo visto che i pesci che si nutrono di corallo beneficiano anch’essi di questa protezione solare, quindi è chiaramente qualcosa che entra nella catena alimentare.
“Questo ci ha portato a credere che se saremo in grado di determinare quando questo composto viene creato e trasmesso, potremmo biosinteticamente crearlo in laboratorio per fornire una protezione solare ad uso umano, forse addirittura in forma di tavoletta, che lavorerebbe in un modo simile.
“Siamo molto vicini a riprodurre il composto in laboratorio, e se tutto va bene ci aspettiamo di testarlo entro i prossimi due anni.”
Cibo dai coralli
Un obiettivo a lungo termine dello studio del King’s College è quello di esaminare se questi processi possano essere utilizzati anche per lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile per il Terzo Mondo, in quanto i composti prodotti dai coralli che li proteggono dal sole potrebbero essere utilizzati per la produzione di colture tolleranti ai forti raggi solari delle latitudini tropicali.
“La capacità delle alghe nel proteggere se stesse e i coralli contro i raggi UV crediamo risieda in un meccanismo biochimico chiamato il percorso scichimato, che si trova solo nei microbi e nelle piante. Se potessimo riprodurre la parte della trasformazione che avviene nel corallo e mettere questo meccanismo nelle piante, si potrebbe utilizzare il loro percorso scichimato per rendere questi filtri solari naturali”, ha detto Long.
“Introdurre questa protezione nelle colture che normalmente crescono in climi temperati ad alto rendimento, ma che al momento non crescono ai tropici a causa della elevata esposizione alla luce solare, questo potrebbe essere un modo per fornire una formidabile fonte di cibo, in particolare per le necessità delle economie del terzo mondo”, conclude Long.
Sbiancamento delle barriere coralline
Un terzo filone della proficua ricerca starebbe nella possibilità di spiegare meglio il fenomeno dello sbiancamento, che avviene quando l’acqua in cui in corallo cresce diventa più calda. L’équipe del dottor Long è quindi alla ricerca di indizi su come il cambiamento climatico stia portando allo ‘sbiancamento’ del corallo, che può portare alla morte di intere barriere coralline, con conseguenze disastrose sulla catena alimentare e quindi anche per l’uomo.
Lo sbiancamento si verifica quando un aumento della temperatura del mare (di 2-3 gradi in più rispetto alla media estiva) fa sì che le alghe smettano di crescere nei coralli, e se il rapporto tra alghe e coralli non viene ristabilito, il corallo può morire. Nel 1998, in tutto il mondo si verificarono anomalie di temperatura che hanno provocato un evento globale di sbiancamento dei coralli con un tasso di mortalità del 16 per cento delle barriere coralline del mondo. Le barriere coralline forniscono un habitat per molte forme di vita marina, e il fenomeno può portare a perdite significative.
Dopo la recente raccolta di campioni dalla Grande Barriera Corallina, la squadra del King sta cercando i cambiamenti genetici e biochimici che si verificano quando corallo è esposto alla luce a temperature dell’acqua più elevata. Gli scienziati pensano che questo studio apporterà conoscenze vitali per la gestione e la conservazione della biodiversità nel contesto del riscaldamento globale.