Per le barriere coralline, le minacce portate dai cambiamenti climatici e dallo sbiancamento (la perdita della parte viva, costituita da polipi e alghe fotosintetiche), sono già di per sè abbastanza gravi.
Ora, un gruppo di ricerca internazionale, guidato dalla statunitense Cornell University, segnala, tramite il nuovo studio pubblicato sulla rivista Science, che i rifiuti di plastica – onnipresenti negli oceani di tutto il mondo – aumentano la possibilità di malattie per i coralli, aggravando il pericolo che già stanno correndo le barriere coralline.
“I detriti di plastica si comportano come camper marini. Costituiscono, difatti, un formidabile mezzo di trasporto per i microbi”, avverte l’autrice principale dello studio, Joleah Lamb, ricercatrice della Cornell University, che ha iniziato a raccogliere dati su questo problema già da quando era dottoranda alla James Cook University, in Australia.
Le materie plastiche sono ideali per la colonizzazione ad opera degli organismi microscopici che, entrando in contatto con i coralli, possono scatenare le più varie patologie”, dice Lamb. “Gli oggetti di plastica – principalmente di propilene, come tappi di bottiglie e spazzolini da denti – hanno mostrato di essere pesantemente popolati da batteri, protozoi e funghi, che vengono associati al gruppo di malattie coralline estremamente devastanti, noto anche come sindromi bianche”.
Secondo lo studio, quando i detriti di plastica incontrano il corallo, la probabilità che questo possa contrarre una malattia, tra erosioni, black band e brown band (praticamente, tutti livelli patologici possibili), aumenta dal 4 all’89 per cento.
I coralli sono piccoli animali che vivono in colonie e si attaccano l’uno all’altro costruendo ‘camere’ o scogliere. Gli agenti patogeni batterici che viaggiano a bordo della plastica, vanno ad intaccare il delicato tessuto del corallo e il suo microbioma.
“Quello che preoccupa, della malattia dei corallli, è che una volta che si verifica la perdita del tessuto corallino, non si torna indietro”, afferma Lamb. “E’ come avere una cancrena ad un piede. Non c’è niente da fare per impedire che colpisca tutto il corpo”.
Se si considera poi il volume di plastica che si riversa in mare, si hanno cifre impressionanti di agenti contaminanti.
Gli scienziati stimano che siano circa 11,1 miliardi gli oggetti di plastica che vengono in contatto con le barriere coralline dell’areale coste asiatiche-Pacifico, ma che questo numero sia destinato ad aumentare probabilmente del 40 per cento nei prossimi sette anni.
Lamb e colleghi hanno esaminato circa 125mila coralli provenienti da 159 barriere coralline, tra Indonesia, Australia, Myanmair e Tailandia.
Il numero di oggetti in plastica variava ampiamente da 0,4 oggetti per 100 metri quadrati (pari alle dimensioni di un appartamento di due camere a Manhattan) in Australia, a 25,6 oggetti per 100 metri quadrati in Indonesia.
Sono dati significativi, dato che si ritiene che in un solo anno entrino nell’oceano tra 4,8 e 12,7 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, assicura la Lamb.
Gli scienziati prevedono che entro il 2025 il materiale plastico che inquinerà gli oceani aumenterà fino a 15,7 miliardi di oggetti di plastica, una massa enorme che si riverserà sulle barriere coralline e che potrebbe portare a una vasta gamma di patologie, dalla ‘banda di erosione scheletrica’ alle sindromi bianche, alle ‘malattie della banda nera’.
“La nostra ricerca dimostra che l’inquinamento plastico sta uccidendo i coralli e il nostro obiettivo è quello di concentrarsi meno sulla misurazione della quantità del corallo che muore e più sulla ricerca di soluzioni”, dichiara l’autore senior Drew Harvell, docente di Ecologia e Biologia evolutiva.
“Le barriere coralline sono habitat produttivi in mezzo ad acque prive di nutrienti”, rincara Harvell, sottolineando che “questo miracolo di costruzione crea le basi per la più grande diversità nei nostri oceani. I coralli forniscono un habitat per altre specie e le barriere coralline sono fondamentali anche per la pesca”.