Nel corso della prima Età del Bronzo, durante il periodo della cultura di Unetice, vi fu un notevole spostamento di gruppi umani verso la Slesia, la regione storica del centro Europa comprendente parte degli attuali Paesi della Polonia, Repubblica Ceca e Germania.
Circa 4000 anni fa, una comunità piuttosto ampia si installò principalmente nei territori sud-occidentali della Polonia.
Una tesi di dottorato sull’argomento, discussa presso l’Università di Goteborg, ha confermato definitivamente il primo caso di spostamento umano su una lunga distanza, dalla Scandinavia – più esattamente dal Sud della Svezia – verso la Slesia.
La cultura di Unetice, che prende il nome dal villaggio omonimo in Boemia, a nord-ovest di Praga, è una cultura dell’Età del Bronzo, collocata nel periodo fra il 2300 e il 1600 a.C. e concentrata, come detto sopra, nei territori odierni della Repubblica Ceca, Germania centro-meridionale e Polonia occidentale.
Fu caratterizzata dalla produzione di particolari oggetti metallici, pugnali triangolari, asce piatte, punte di freccia, braccialetti massicci, spilloni a testa piatta, anelli a spirale, la cui distribuzione era sparsa su una vasta area dell’Europa Centrale.
“Oltre 3800 anni fa” – racconta nella sua tesi l’archeologa Dalia Pokutta – “un giovane, forse nato in Scania, una regione della Svezia, intraprese un viaggio di oltre 900 chilometri verso Sud, esattamente verso la zona della odierna Wroclaw, in Polonia, dove però venne ucciso da agricoltori locali, appartenenti alla cultura di Unetice, probabilmente a causa di un intreccio amoroso avviato con due donne del luogo, che furono uccise insieme a lui. Questa storia d’amore dell’età del bronzo, purtroppo senza lieto fine, sembra sia stato il primo contatto di cui abbiamo notizia tra svedesi e polacchi”.
E’ questa la conclusione della tesi di laurea della Pokutta, il cui lavoro è un ritratto bioarcheologico della cultura di Unetice in Polonia, con particolare riguardo alla Bassa Slesia.
Il tema è stato presentato da un punto di vista paleodemografico, sulla base dei risultati di analisi isotopica di resti umani risalenti all’Età del Bronzo antico (2200-1600 a.C.).
“Abbiamo analizzato centinaia di campioni, sia umani che animali. Questo studio affronta gli esseri umani di un passato spesso dimenticato”, sottolinea Dalia Pokutta.
L’autrice descrive i primi stili di vita dell’Età del Bronzo, le conoscenze mediche e le malattie, le occupazioni e le professioni della società preistorica della Slesia, come ad esempio l’aristocrazia tribale, i bambini e gli anziani.
Lo studio fornisce anche informazioni sulla dieta, la dimora, le migrazioni umane e gli spostamenti sul territorio, l’espansione della metallurgia e del commercio, le forme di dominio e di identità collettiva.
Una delle conclusioni principali è il livello molto elevato di mobilità sul territorio che caratterizzò la popolazione preistorica in Slesia, con la presenza di immigrati provenienti dalle terre che molti secoli dopo sarebbero diventate gli Stati di Germania, Repubblica Ceca, Ungheria e Svezia.
Lo studio conferma anche gli enormi cambiamenti nell’agricoltura europea intervenuti intorno all’anno 2000 a.C., quali l’introduzione della concimazione su larga scala.
“Il mio lavoro punta a riconsiderare la bioarcheologia, presentando la cultura archeologica attraverso le storie di vita quotidiana delle persone”, commenta l’archeologa Pokutta.