Due anni di ricerche effettuate nei fondali e nelle coste dello Stretto di Messina hanno portato ad una significativa scoperta scientifica sulla presenza dell’Homo sapiens in Sicilia. Gli studi sono stati condotti da ricercatori dell’ENEA, e dalle Università di Roma (La Sapienza), Palermo, Napoli (Federico II), Messina e Trieste, l’Australian National University, Canberra (Australia), il Max Planck Institute, Lipsia (Germania), l’IAMC-CNR Napoli e l’ISPRA Roma. Gli studiosi si sono serviti del calcolo delle variazioni del livello del mare e dell’analisi integrata dei dati provenienti da discipline come la geologia marina, la tettonica, la geofisica, la modellistica oceanografica, la paleontologia e l’antropologia.
In cosa consiste la scoperta?
Diversamente da quanto accaduto nel resto del continente europeo, dove la diffusione dell’Homo Sapiens è datata fra 35.000 e 40.000 anni fa, in Sicilia le datazioni al radiocarbonio effettuate sulle ossa di Homo Sapiens non superano i 17.000 anni di età. Questo fenomeno si è verificato perché nell’ultima glaciazione, in un periodo compreso tra 27.000 e 17.000 anni fa, in seguito all’abbassamento del livello del mare, si è creato un ponte continentale naturale tra l’Europa e la Sicilia. Questo passaggio naturale ha reso possibile la migrazione sull’isola dell’Homo Sapiens e di alcuni grandi mammiferi a ridotta capacità natatoria, oggi scomparsi, come l’Equus hydruntinus, i cui resti, risalenti a circa 22.000 anni fa, sono stati rinvenuti nella grotta di San Teodoro, nei pressi di Messina. Le forti correnti (stimate a 16 nodi) che sarebbero state presenti nello stretto rendono improbabile ogni ipotesi di traversata.
Il ponte roccioso che ha consentito la migrazione è la Sella sommersa dello Stretto di Messina, che attualmente si trova ad una profondità di 81 metri sul livello del mare.