I risultati di uno studio del DNA di resti scheletrici appartenenti ad un giovane, che si ritiene risalga a 24mila anni fa, suggerisce che i primi americani sarebbero arrivati direttamente dalla Siberia.
Almeno, questo è quanto sostiene un gruppo di ricerca guidato da studiosi della Texas A & M University, USA.
Resti di un giovane di 24000 anni fa (credit: State Hermitage Museum, Russia)
Kelly Graf, professore del Centro per lo Studio dei Primi Americani e del Dipartimento di Antropologia presso la Texas A & M University, è parte di un team internazionale guidato da Eske Willerslev e Maanasa Raghaven, del Centro GeoGenetics presso l’Università di Copenhagen.
Del team facevano parte anche ricercatori svedesi, russi, inglesi e americani della University of Chicago e della University of California, Berkeley.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature.
Graf e Willerslev hanno ideato il progetto e contattato il Museo di Stato Hermitage di San Pietroburgo, in Russia, dove i resti erano conservati, per la raccolta dei campioni di DNA antico da esaminare.
Lo scheletro fu scoperto alla fine del 1920 nei pressi del villaggio di Mal’ta, nella Siberia centro-meridionale, e da allora è stato sempre indicato, genericamente, come ‘il bambino di Mal’ta’, perché finora il sesso dello scheletro era sconosciuto.
“Dopo le analisi, ora possiamo dire con certezza che questo individuo era un maschio”, assicura Graf, che ha estratto il DNA dal braccio del ragazzo, aggiungendo che ‘i risultati sono stati sorprendenti’.
“Lo scheletro mostra di aver avuto stretti legami genetici sia con gli attuali nativi americani che con eurasiatici occidentali, in particolare con alcuni gruppi che vivono in Asia centrale, in Asia meridionale ed in Europa. Sembra inoltre che i legami genetici siano stati condivisi anche con altre popolazioni dell’Era glaciale, eurasiatici occidentali che oggi vivono nella Russia europea, nella Repubblica Ceca e anche in Germania.
Riteniamo che queste popolazioni dell’Era glaciale si spostassero molto sul territorio e fossero in grado di mantenere un pool genico – il carattere che determina una popolazione – di vasta portata, che si estendeva dalla Siberia centrale, verso occidente, fino all’Europa centrale”.
Un altro risultato significativo dello studio è che la popolazione del ragazzo di Mal’ta pare fosse proprio quella originaria degli antenati dei nativi americani.
“Il nostro studio dimostra che gli antenati dei nativi americani emigrarono nel continente americano provenendo dalla Siberia e non direttamente dall’Europa, come qualcuno ha recentemente ipotizzato”, afferma Graf.
Il lavoro sul DNA effettuato sul giovane è il più antico genoma completo di un essere umano finora sequenziato.
Presso i resti furono trovati anche strumenti di selce, una collana di perline e quello che sembra essere un pendente; tutti oggetti apparentemente collocati nella sepoltura come un corredo funerario.
La scoperta solleva nuove domande sulla tempistica dell’occupazione umana dell’Alaska e quindi del Nord America, argomento già dibattuto negli studi sui primi americani.
“Anche se i nostri risultati non possono essere oggetto di dibattito”, afferma Graf, “indicano tuttavia che gli antenati dei nativi americani avrebbero potuto occupare la Beringia – l’estremo Nord-est della Russia e l’Alaska – in qualsiasi momento da 24mila anni fa in avanti e quindi potrebbero aver colonizzato l’Alaska e le Americhe molto prima di 14.500 anni fa, l’epoca suggerita dalla documentazione archeologica”.