Tra 20-25 anni verranno disinstallati milioni di moduli fotovoltaici. Un accordo tra Comitato IFI e Cobat sancisce la volontà di realizzare una filiera italiana che punta al riciclaggio di tutti i componenti presenti nel pannello. Esistono infatti diversi processi di elevato valore che permettono di recuperare materiali come piombo e cadmio.
Secondo il GSE ( Gestore dei Servizi Energetici) sono circa 11 i gigawatt di picco ( cioè la potenza erogabile dal pannello in condizioni standard) degli impianti fotovoltaici oggi in esercizio, cinquanta milioni i pannelli che guardano il sole generando così elettricità. Il settore, nonostante la precarietà normativa, continua a convincere il mercato e soprattutto gli italiani e le aziende che vogliono diventare produttori di energia. Poiché la vita media di un modulo fotovoltaico è di circa 25 anni, l’industria italiana si sta organizzando in modo da rendere completamente sostenibile il settore.
L’accordo dell’11 ottobre tra Comitato I.F.I. – Industrie Fotovoltaiche Italiane ed il consorzio Cobat sancisce la volontà di istituire una filiera completamente italiana per la raccolta, il riciclo e lo smaltimento dei pannelli fotovoltaici.
Il modulo fotovoltaico infatti non è costituito di soli vetro e alluminio, ma contiene anche minime quantità di sostanze tossiche: il piombo, velenoso per la salute, il cadmio, cancerogeno, e i ritardanti di fiamma, anch’essi pericolosi per l’uomo e l’ambiente. Inoltre, nei moduli a film sottile, sono rilevabili metalli rari come il tellurio e l’indio.
Lo studio del ciclo di vita di un sistema fotovoltaico dimostra che fabbricando un modulo con celle solari riciclate si risparmia circa il 30% di energia rispetto alla classica produzione. Il consumo di energia primaria necessario alla fabbricazione è imputabile principalmente a quella del modulo. In particolare, a parità di superficie, l’impiego di energia risulta più cospicuo per i moduli cristallini.
Benché si tratti di energia pulita, è importante valutare l’impatto che il prodotto determina dalla fase di produzione sino al suo smaltimento a fine vita.
La lavorazione di un modulo fotovoltaico consta di diverse fasi che richiedono diverse quantità di energia. A monte di tutto il processo vi è l’estrazione del silicio dalla miniera, la materia prima, trasportata ai laboratori, subisce un primo trattamento di tipo termico a 2000°C, in modo da ottenere silicio liquido che, una volta raffreddato, viene frantumato fino al raggiungimento di un’adeguata pezzatura , cioè i frammenti devono essere di dimensione adeguata per passare al processo seguente. Durante questa prima fase vengono consumati circa 15 kWh/kg di energia elettrica.
Per rendere più puro il silicio, come richiesto per il settore fotovoltaico (purezza del 99,9999 %) sono necessari ulteriori trattamenti di tipo chimico in reattori ad elevate temperature: i processi più impiegati portano ad un consumo energetico medio di 110 kWh/kg.
Seguono infine una fase di cristallizzazione in lingotti e una fase di taglio mediante opportune seghe, fino ad ottenere il sottilissimo wafer di silicio.
Oggigiorno il metodo di riciclaggio più diffuso per i moduli cristallini risulta essere il processo Deutsche Solar.
Anche questo processo è caratterizzato da diverse fasi: il modulo viene dapprima incenerito a 600°C per decomporre velocemente le sostanze polimeriche (EVA e Tedlar) e permettere un corretto disassemblaggio, inviando alle rispettive filiere materiali quali alluminio e vetro. Le celle intatte recuperate subiscono un trattamento chimico basato sostanzialmente su una serie di bagni in acido che attaccano e “puliscono” la superficie della cella. Va tuttavia sottolineato che il recupero delle celle intatte è ancora in fase di ottimizzazione poiché sebbene più sostenibile risulta piuttosto oneroso trattare wafer con spessori così esigui. Altro discorso per le celle danneggiate (non intatte) che possono essere sfruttate come materia prima secondaria, naturalmente sempre a seguito di opportuni trattamenti del tutto simili ai precedenti, consentendo ancora una volta di evitare l’estrazione del silicio a monte del processo.
L’accordo tra IFI e Cobat prevede infine l’impegno a istituire un tavolo tecnico che abbia come obiettivo finale la realizzazione in Italia di un impianto di riciclaggio moduli, tuttora gli unici centri europei si trovano in Germania, Spagna e Belgio.