Tante le aspettative con cui è giunta l’Africa alla Conferenza sul Clima di Doha. Poco promettenti invece sono stati i negoziati, almeno nel corso della prima settimana. Secondo gli attivisti infatti i paesi ricchi sono stati poco chiari nell’affrontare temi centrali come i finanziamenti salva-clima e la riduzione delle emissioni.
In risposta a questa situazione, centinaia di persone provenienti da tutto il mondo si sono riunite in corteo il 3 dicembre a Doha, attirando l’attenzione internazionale sulla grande piaga del cambiamento climatico. Un’occasione importante per dare voce ai rappresentanti africani delusi dallo stato delle trattative.
I manifestanti, nonostante gli avvertimenti della comunità scientifica, hanno affermato che i paesi ricchi si rifiutano di fare grossi tagli alle emissioni di anidride carbonica per l’aumento della temperatura globale di 1,5 gradi Celsius. Inoltre temono che i paesi ricchi non rispettino gli impegni presi con i paesi poveri per aiutarli a far fronte agli effetti negativi dei cambiamenti climatici.
Agostino Njamnshi è il presidente del comitato direttivo del PanAfrican Climate Justice Alliance (PACJA), un gruppo di oltre 300 organizzazioni non governative africane che si sforzano per il raggiungimento di accordi equi in occasione del vertice di Doha. Njamnshi sostiene che la sopravvivenza dell’Africa dipende dalle nazioni ricche che devono assumersi le responsabilità per le emissioni storiche, causa del cambiamento climatico. “Se non verranno effettuati tagli sostanziali delle emissioni – ha affermato – l’Africa brucerà e il suo sviluppo sarà compromesso. Gli africani saranno in pericolo a causa degli effetti negativi dei cambiamenti climatici, tra cui la siccità e le inondazioni. Tutto ciò sarà aggravato dalla mancanza dei mezzi per adattarsi alla situazione. Se non ci saranno tagli profondi, ciò che vediamo in questo momento peggiorerà negli anni a venire. Tutti questi discorsi sono molto critici per l’Africa”.
I paesi ricchi, dal canto loro, riconoscono la necessità di ridurre le emissioni, ma gli attivisti dicono che non hanno voglia di assumersi impegni vincolanti dal punto di vista giuridico. In realtà i paesi industrializzati puntano sullo scambio di emissioni, con la speranza di continuare a inquinare fin quando si potranno acquistare crediti di carbonio dai paesi meno industrializzati. La PACJA ha dichiarato che tutto ciò comporterebbe un aumento catastrofico delle temperature globali. Un incremento di due gradi Celsius provocherebbe un aumento delle inondazioni, ostacolerebbe la produzione di cibo e incrementerebbe la diffusione di malattie. Consapevoli di questo, i rappresentanti africani alla Conferenza si battono affinché i paesi ricchi taglino le loro emissioni del 40% entro il 2017 e a lungo termine del 95% entro il 2050.
Alcuni paesi come l’Australia, il Kazakistan e il Liechtenstein hanno promesso tagli tra il 78 e il 99%, a patto che i paesi ricchi rispettino gli stessi impegni.
La più grande paura dell’Africa è che non verrà raggiunto nessun accordo per ottenere finanziamenti salva-clima. Il ‘Fast-Track climate financing’, il documento che valuta lo stato degli aiuti per il clima, scade alla fine di quest’anno (Accordo di Copenaghen 2010 – 2012). Sono trascorsi due anni per trasferire fondi dai paesi ricchi ai paesi poveri per aiutarli nell’affrontare il cambiamento climatico. I paesi ricchi dicono di aver superato i 30 miliardi di dollari in aiuti, mentre i paesi poveri dicono che sono stati raggiunti solo i 25,9 miliardi di dollari, molti dei quali non sono altro che parte del tradizionale aiuto allo sviluppo e non supplementari.
L’Africa, a questo punto, ha perso fiducia nei paesi sviluppati per il susseguirsi di mancate promesse. E come accade alla Conferenza di Doha, rappresentati e attivisti restano cauti e poco fiduciosi circa l’esito dell’incontro.