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Goletta verde: Calabria, Campania e Sicilia maglie nere per cemento e scarichi in mare

Scritto da Redazione di Gaianews.it il 17.08.2011
Pozzuoli, scarico fognario. Crediti: Goletta Verde, Legambiente

Pozzuoli, scarico fognario. Crediti: Goletta Verde, Legambiente

Si conclude il viaggio della Goletta Verde di Legambiente attorno alle coste italiane. Sono emersi molti punti critici durante i 55 giorni di traversata, tra il cemento degli abusi edilizi, soprattutto in Sicilia, Calabria e Campania, e le trivellazioni petrolifere, soprattutto nel canale di Sicilia e nel basso Adriatico. I punti critici per la qualità delle acque e dei litorali sono stati 146, uno ogni 51 km di costa.

Le migliori regini sono risultate la Sardegna, la Puglia e la Toscana, mentre 112 sono le foci in giro per l’Italia risultate fortemente inquinate, a conferma che il problema della mancata depurazione riguarda in primo luogo i comuni dell’entroterra. L’Oscar dell’inquinamento va alla regione Calabria, dove oltre il 60% dei cittadini scarica in mare reflui non depurati a norma di legge, seguita da Campania e Sicilia.

“Scarichi fognari illegali, cementificazione selvaggia delle coste e progetti energetici basati sulle fonti fossili sono i principali nemici del mare italiano – dichiara Stefano Ciafani, responsabile scientifico nazionale di Legambiente -. Serve un green new deal per la tutela delle coste e per il rilancio dell’economia turistica del Belpaese, fondato sulla realizzazione di opere pubbliche davvero utili alla collettività. Si devono aprire nuovi cantieri per realizzare i depuratori per quel 30% di cittadini che ne è ancora sprovvisto, per migliorare un sistema fognario inadeguato a fronteggiare i picchi turistici estivi, per abbattere a colpi di tritolo gli ecomostri di cemento che deturpano le coste. Per non aggravare una situazione già complicata si abbandonino anche progetti insensati come la svendita ai privati delle spiagge con pericolosi diritti di superficie, la corsa alle trivellazioni off shore di petrolio o le ricorrenti proposte di condono edilizio, che costituiscono solo una seria ipoteca per la tutela dell’ecosistema marino e costiero, alla base del turismo di qualità, sempre più importante per il Pil del nostro Paese”.

Calabria, Campania e Sicilia, libertà di inquinare

Con rispettivamente 20, 19 e 16 punti critici emersi dalle analisi del laboratorio mobile di Goletta Verde, queste tre regioni, nonostante l’indiscutibile bellezza dei loro litorali, si distinguono a livello nazionale per presenza di scarichi illegali o impianti non a norma o mal gestiti. Le regioni dal mare più cristallino sono risultate invece la Sardegna, dove si è registra un punto critico ogni 346 km di costa, e la Puglia, una criticità ogni 96 km.

Il monitoraggio scientifico di Legambiente conferma il preoccupante quadro che emerge dalla procedura di infrazione europea nei confronti dell’Italia per il mancato rispetto della normativa comunitaria sulla depurazione degli scarichi fognari. Il maggior numero di Comuni italiani con oltre 15 mila abitanti che non si sono adeguati entro il 31 dicembre 2000 alla direttiva europea 1991/271/CE sul trattamento delle acque reflue urbane si trovano proprio in queste 3 regioni, dove si contano ben 134 comuni medio grandi senza depuratore sul totale dei 168 rilevati dalla Commissione europea in tutta Italia (sono 90 in Sicilia, 22 in Calabria e Campania).

Per quanto concerne la libertà di cementificare le coste, si apre un altro triste capitolo: nel nostro paese, sono infatti ben 3.495 le infrazioni per abusivismo edilizio sul demanio accertate dalle forze dell’ordine solo nel 2010, quasi 10 reati al giorno. Anche in questa poco onorevole classifica il podio è occupato da Sicilia (682 infrazioni), Calabria (665) e Campania (508), che rappresentano insieme il 53% del totale nazionale dei reati sul cemento illegale.

Non solo, in queste tre regioni insistono anche quattro dei cinque ecomostri simbolo dell’Italia sfregiata dal cemento abusivo, censiti da Legambiente, da abbattere al più presto: le ville mai finite costruite dalla mafia con la complicità della pubblica Amministrazione a Pizzo Sella, la “collina del disonore” di Palermo; le 35 ville abusive di Capo Colonna a Crotone che, nonostante una sentenza di confisca, sfregiano l’area archeologica; l’albergo di Alimuri a Vico Equense sulla penisola sorrentina; le “villette degli assessori” sulla spiaggia di Lido Rossello a Realmonte nell’agrigentino. A completare il quadro della top five da abbattere al più presto il villaggio abusivo di Torre Mileto nel comune di Lesina (Fg) in Puglia.

Ma il cemento sulle coste non dilaga solo al Sud, ma anche al Centro e al Nord, dove prende le vie legali della speculazione edilizia, delle mega opere portuali e della bolla affaristica delle seconde e terze case. Il Veneto, con progetti di nuove darsene, porti turistici e urbanizzazioni sulla costa in provincia di Venezia, il Friuli Venezia Giulia, con l’espansione urbanistica che riguarda la città di Grado (Go), ma anche le Marche e l’Emilia Romagna, con la cementificazione costiera passata e recente, o il Lazio, con il nuovo porto a Fiumicino (Rm), pagano sotto forma di ulteriore consumo di suolo il cospicuo prezzo della bramosia di costruttori ed amministrazioni spesso compiacenti.

Petrolio

Un altro problema che minaccia i mari italiani sono le perforazioni petrolifere, per cercare petrolio nei fondali marini. Sono 25 i permessi di ricerca già rilasciati al 31 maggio 2011 al fine di estrarre idrocarburi dai fondali marini, per un totale di quasi 12mila kmq a mare, pari ad una superficie di poco inferiore alla regione Campania. Ben 12 permessi riguardano il canale di Sicilia, 7 l’Adriatico settentrionale, 3 il mare tra Marche e Abruzzo, 2 in Puglia e 1 in Sardegna. Se aggiungiamo le richieste di permesso, l’area aumenta e diventa pari alla Sicilia.

Legambiente si chiede però se valga la pena trivellare per soli 11 milioni di tonnellate di riserve petrolifere stimate (fonte: Ministero dello Sviluppo economico). Tali riserve, continua Legambiente, si esaurirebbero in soli tre mesi agli attuali tassi di consumo dell’Italia.

Sommando le riserve sulla terraferma, le riserve italiane stimate aumenterebbero a 187 milioni di tonnellate e verrebbero consumate in soli 2 anni e mezzo. Si tratta quindi di un pericolo per il turismo e per la bellezza del territorio (senza parlare dei possibili incidenti in fondo al mare) per una quantità di petrolio estraibile davvero ridicola.

Norme “ad trivellam”

La libertà di estrarre petrolio in mare – continua la nota – viene facilitata anche da norme “ad trivellam” per allentare le maglie ai divieti imposti dal ministro Prestigiacomo la scorsa estate dopo il disastro causato dalla piattaforma petrolifera della BP nel Golfo del Messico. Lo scorso 1 agosto è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto di recepimento della direttiva sulla tutela penale dell’ambiente che, senza alcun pudore, contiene anche un comma che in realtà permette di aggirare il divieto alle attività di ricerca, prospezione ed estrazione di idrocarburi in mare per il Golfo di Taranto. Di fatto, il comma rende nuovamente possibile svolgere attività di ricerca all’interno del golfo, proprio quando tutte le istanze presenti in quest’area erano in fase di rigetto, visti i nuovi vincoli fissati nell’estate del 2010. Sempre in favore delle compagnie petrolifere è attualmente in discussione in Parlamento anche un altro disegno di legge che prevede la “Delega al governo per l’adozione del testo unico delle disposizioni in materia di prospezione ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi”.

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